La produzione mondiale di cibo non genera valore, non crea posti di lavoro con salari dignitosi, non contribuisce alla salvaguardia dell’ambiente e non aiuta le persone ad avere una vita più sana. L’attuale sistema globale del cibo è più “veloce a distruggere che a creare”, perché se è vero che produrre cibo è indispensabile è anche arrivato il momento di chiedersi se il modo in cui lo si produce sia il migliore possibile. E potrebbe non esserlo perché i metodi attuali incidono negativamente sul singolo consumatore, sull’ambiente e sui lavoratori creando “costi nascosti” che sono i danni non immediatamente visibili. Dalla firma dell’Accordo di Parigi (2015), sulla tavola mondiale dell’alimentazione si sono accumulati costi nascosti per centoventimila miliardi di dollari: 60 volte il PIL annuo dell’Italia.
Trasformare i sistemi alimentari per affrontare le emergenze climatiche, naturali e sanitarie globali
A dirlo è la ricerca The economics of the food system transformation, realizzata dalla Commissione sui sistemi economici alimentari, un gruppo accademico indipendente nato all’interno del Potsdam Institute for Climate Impact Research. Ma la produzione di cibo come fa a creare un danno economico di questa entità? Le risposte includono:
- emissioni di gas serra
- uso non sostenibile di acqua dolce
- perdita di biodiversità
- costo umano della denutrizione e della cattiva alimentazione.
Tutti fenomeni e pratiche su cui incidono negativamente le dinamiche del profitto a breve termine e gli aspetti più negativi del cosiddetto business as usual, ovvero il business “come sempre”, senza nessun senso critico per il miglioramento.
Insostenibilità alimentare: dai danni alla salute a quelli ambientali
Ogni anno l’alimentazione non corretta genera danni per 11mila miliardi di dollari. Per calcolarli lo studio ha rilevato i costi sanitari e le perdite in capitale umano causate dalla denutrizione e dalle malattie riconducibili a una cattiva alimentazione (cancro, diabete, ipertensione, obesità). Secondo le più recenti stime, contenute nello studio, 1,5 miliardi di persone soffrono di problemi legati a una cattiva o insufficiente alimentazione, un numero che senza un cambio di paradigma potrebbe aumentare del 70% entro il 2050.
Per quanto riguarda i danni economici del sistema di produzione alimentare sul clima e l’ecosistema la stima è di 3mila miliardi all’anno. A comporre questo conto, che pagheranno le generazioni future, concorrono:
- le emissioni di gas serra di agricoltura e allevamento, responsabili di un terzo dei gas climalteranti globali. L’agricoltura e l’allevamento non sostenibili sono sia le principali attività responsabili dell’aumento delle temperature che le principali vittime; come mostra il report Climate Whiplash sull’impatto di siccità e inondazioni sull’agricoltura.
- Il consumo di suolo causato dall’agricoltura e dagli allevamenti intensivi. Dal 2010 ad oggi la perdita netta di foreste a livello globale è stata di 4,7 milioni di ettari l’anno, una cifra che corrisponde a 67mila campi da calcio. Al ritmo attuale entro il 2050 perderemo altri 71 milioni di ettari di foreste, un’area equivalente a 1,3 volte la Francia.
Il conto, che in futuro qualcuno pagherà, comprende anche i costi derivanti dall’eccesso di azoto usato per i fertilizzanti. L’impatto economico dell’azoto è stato indagato dal rapporto The european nitrogen assessment secondo il quale l’uso eccessivo di questa sostanza chimica contamina le falde acquifere e distrugge gli ecosistemi costieri: per ogni euro speso in fertilizzanti a base di azoto la stima dei costi ambientali oscilla tra i 25 e i 100 euro.
La dignità nel lavoro agricolo: una priorità globale
Oltre l’ambiente c’è un altro tema, questa volta sociale. L’attuale sistema economico dell’agricoltura (che vale il 4% del Pil globale) alimenta la povertà strutturale che tende ad essere più elevata in questo settore rispetto agli altri segmenti dell’industria alimentare. E non vale solo per i Paesi in via di sviluppo ma, per esempio, anche per gli Usa dove la paga oraria di chi lavora nei campi è il 52% più bassa della retribuzione oraria media e questo significa che i sistemi agricoli-economici attuali limitano (invece di moltiplicare) il potenziale produttivo e quindi il benessere delle persone.
Secondo lo studio la situazione è drammatica ma recuperabile, a patto di intraprendere strade non ancora percorse. La prima cosa da fare è rivedere il sistema degli incentivi all’agricoltura che devono essere indirizzati verso le piccole aziende. Bisogna limitare il consumo di azoto e moltiplicare l’uso delle tecniche di sequestro del carbonio (un tipo di agricoltura che riporta nel terreno i gas nocivi) e, infine, modificare le abitudini alimentari che devono tendere verso una dieta più salutare con un consumo più massiccio di verdura, frutta, noci, legumi e cereali integrali. Sembra una banalità, ma è una banalità che farebbe semplicemente scomparire la fame mondiale entro il 2050.
L’engagement di Etica Sgr con le società del settore alimentare
Etica Sgr ha scelto di essere parte attiva nel processo di sensibilizzazione nei confronti delle società alimentari rispetto ai problemi legati alla malnutrizione, aderendo a campagne internazionali mirate a spronare pratiche più sostenibili dal punto di vista dell’offerta alimentare. Attraverso l’attività di stewardship ed engagement Etica Sgr dialoga quindi con le imprese chiedendo una maggiore attenzione alla qualità del cibo e al suo impatto dal punto di vista ambientale, in quanto le modalità di produzione e consumo del cibo incidono anche sui cambiamenti climatici.
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