Carbon tax: i risultati nelle 47 giurisdizioni in cui è presente

La carbon tax (in italiano “tassa sul carbonio”) è una tassa sulle emissioni di diossido di carbonio. È un esempio di ecotassa, proposta da alcuni economisti, come il Premio Nobel 2018 Nordhaus, che si pone un obiettivo di politica fiscale: ogni tonnellata di inquinamento da anidride carbonica rilasciata dai combustibili fossili sarà soggetto ad un’aliquota fissata dal governo.

Due principi

La carbon tax si basa sul presupposto che fissare un costo per le emissioni di gas ad effetto serra possa incentivare le aziende a limitare l’impatto sul clima. Inoltre la tassa potrebbe garantire agli Stati introiti importanti, utilizzabili per finanziare la transizione ecologica (mitigando il riscaldamento globale) e per finanziare progetti di adattamento (in particolare nelle aree più vulnerabili).

Carbon Tax, introiti triplicati dal 2016 al 2020

Gli effetti della carbon tax sono stati di recente analizzati in un rapporto pubblicato dall’Istituto dell’Economia per il Clima (I4CE) di Parigi, secondo il quale esistono in tutto il mondo 47 giurisdizioni che hanno deciso di tassare le emissioni di CO2.

Le economie con giurisdizioni che hanno optato per questi sistemi fiscali rappresentano circa il 60% del Pil mondiale e hanno ottenuto introiti per quasi 57 miliardi di dollari nel 2020. Ovvero il triplo di quanto registrato soltanto quattro anni prima, nel 2016.

Alcuni Paesi che hanno scelto la carbon tax sono la Francia, il Giappone, il Canada e la Finlandia. In altre aree sono stati introdotti dei mercati delle emissioni, come nel caso dell’Unione Europea, che ha adottato un sistema di scambio di quote di emissione di gas ad effetto serra (Emission trading system, ETS), concepito con l’obiettivo di indurre le grandi imprese del Vecchio Continente ad inquinare di meno. In tal modo è possibile fissare un tetto massimo alle emissioni di alcuni agenti inquinanti ed incitare le aziende a non disperderle nell’atmosfera, evitando così di dover pagare.

Un limite di questi strumenti, secondo il rapporto di I4CE, è che la tassazione delle emissioni (comprese, a lungo, quelle derivanti dal mercato ETS europeo) è spesso talmente bassa da non rappresentare un incentivo per le aziende a modificare i propri modelli produttivi. Il prezzo di quasi metà delle emissioni oggetto di una fiscalità ad hoc è inferiore ai 10 dollari per una tonnellata equivalente di CO2: secondo lo studio troppo basso per promuovere efficacemente la decarbonizzazione.

carbon tax

@I4CE

Alle fonti fossili concesse sovvenzioni per 450 miliardi di dollari all’anno

Il think tank ha calcolato tuttavia che il gettito generato dalle tassazioni e dai mercati è aumentato rispettivamente del 52% e del 48% tra il 2019 e il 2020. Raggiungendo i 56,8 miliardi di dollari, contro i 48 del 2019 e i 17 del 2016. Si tratta di dati incoraggianti ma ancora lontani da quanto necessario per finanziarie mitigazione e adattamento rispetto ai cambiamenti climatici. Le cifre in questione sono, inoltre, ancora una piccola frazione rispetto al totale delle sovvenzioni pubbliche di cui godono le fonti fossili. I flussi di denaro concessi dai governi a carbone, petrolio e gas sono stati pari infatti a 450 miliardi di dollari nel 2020 secondo il rapporto.

carbon tax - emissioni inquinanti carbone

Dove finiscono i proventi delle carbon tax?

Il report di I4CE sottolinea anche le enormi differenze esistenti nei prezzi delle tassazioni. Emettere una tonnellata equivalente di CO2 in Ucraina, ad esempio, costa meno di un dollaro. In Svezia si raggiungono i 142 dollari. Si tratta di dati che riflettono, ovviamente, le situazioni di ciascun sistema economico. In un mondo globalizzato, però, senza meccanismi di aggiustamento alle frontiere, il rischio è che per aggirare le carbon tax le aziende ricorrano alle delocalizzazioni.

Secondo l’analisi, per fungere davvero da deterrente, la tassazione dovrebbe essere compresa infatti tra i 40 e gli 80 dollari. Naturalmente, oltre a basi imponibili e aliquote, per far sì che le tassazioni siano davvero efficaci nell’ottica della transizione, è necessario anche che i proventi siano effettivamente utilizzati a tale scopo. In Giappone o in California, ad esempio, è così per la totalità delle entrate. In Svizzera, solo un terzo è dedicato a progetti verdi. In più di una nazione europea le entrate alimentano i bilanci generali degli Stati.

Disinvestimento dalle fonti fossili: Etica Sgr protagonista fin dalla nascita

Etica Sgr si colloca al momento decisamente alla frontiera dell’impegno sul tema del disinvestimento dalle fonti fossili all’interno del mondo della finanza nel panorama mondiale. Da sempre abbiamo escluso carbone e petrolio dai nostri fondi, lavorando progressivamente per un miglioramento nelle strategie di decarbonizzazione e di abbandono delle fonti fossili e contribuendo in modo importante a quell’azione dal basso per il cambiamento politico in questa direzione che incide sui comportamenti delle imprese.

Etica Sgr promuove da sempre investimenti sostenibili e responsabili dialoga attivamente con le imprese affinché si impegnino nella rendicontazione e nella riduzione delle emissioni di gas alteranti.

Per promuovere la transizione ad un’economia a basso impatto di carbonio Etica Sgr ha anche lanciato un fondo comune di investimento: Etica Impatto Clima, focalizzato sul tema del cambiamento climatico, il fondo investe in titoli emessi da aziende e Stati che hanno scelto la sostenibilità ambientale per sviluppare il proprio business.

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