Cambiamento climatico, gli ultimi dati dicono che non si sta facendo abbastanza. Le Nazioni Unite hanno valutato le promesse dei Paesi che hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi (nel 2015), concludendo che il miglioramento è stato soltanto limitato: se con gli impegni iniziali il riscaldamento globale era stato ipotizzato a +3,2 gradi, ora il mondo viaggia verso quota +2,7, dato decisamente superiore alla soglia dei due gradi.
Cambiamento climatico: l’impegno dei Paesi
Nei mesi che hanno preceduto la ventunesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop 21), che si è tenuta nel dicembre del 2015 a Parigi, la stessa ONU aveva chiesto ai governi di tutto il mondo di specificare i loro impegni in materia di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. A tale scopo gli esecutivi furono chiamati a presentare dei documenti chiamati NDC (Nationally determined contributions).
All’epoca, ci si interrogò su quale fosse il metodo migliore per ottenere un risultato soddisfacente: chiedere agli Stati di rispettare una griglia predefinita o lasciare libertà a ciascuno di decidere in modo autonomo quali promesse avanzare?
Alla fine prevalse la seconda linea poiché si pensò che imporre paletti troppo stringenti alle nazioni avrebbe potuto trasformarsi in un boomerang. Il risultato, però, è stata che ciascun esecutivo ha fatto “di testa sua”: c’è chi ha promesso di ridurre le emissioni del 30% entro il 2025 rispetto ai livelli del 2005, chi del 40% ma entro il 2030 e rispetto ai livelli del 1990. Calcolare il valore complessivo delle NDC, insomma, non è stato così semplice.
Limitare il riscaldamento globale
Come noto, al termine della Cop 21, si raggiunse l’Accordo di Parigi, che aveva fissato un obiettivo chiaro per la comunità internazionale: la crescita della temperatura media globale doveva essere limitata ad un massimo di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali entro la fine del secolo «rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi», fu specificato nel testo.
Nel 2015, però, non si sapeva ancora quanto valessero le NDC presentate dai governi. La Francia, che ospitava l’evento, aveva tuttavia ammonito: le promesse avanzate fino a quel momento non bastavano. Una constatazione confermata, successivamente, anche da alcune analisi di organizzazioni non governative.
Due anni dopo, nel 2017, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UN Environment, già UNEP), presentò il suo rapporto annuale intitolato “Emissions Gap”. Il documento certificò che, con le NDC del 2015, il riscaldamento globale sarebbe arrivato a 3,2 gradi centigradi alla fine del secolo. Un valore infinitamente superiore rispetto a quello immaginato dall’Accordo di Parigi. Per questa ragione, l’UNFCCC, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ha esortato i governi a “rifare i compiti a casa”. Una nuova scadenza per presentare delle NDC più ambiziose è stata fissata al 31 dicembre del 2020. La data, però, è stata rispettata soltanto da una settantina di nazioni. E, tra coloro che non hanno risposto presente, figuravano i principali responsabili mondiali delle emissioni di gas ad effetto serra: Cina, Stati Uniti e Russia per esempio.
L’assenza di molti Paesi e la “direzione catastrofica”
L’ONU, perciò, ha deciso di proporre una nuova “deadline”, stavolta fissata al 30 luglio 2021. La quota di nazioni “diligenti”, tuttavia, è arrivata a 113 (sui quasi 200 firmatari dell’Accordo), non di più. Soprattutto questi Stati rappresentano soltanto il 49% delle emissioni globali di gas ad effetto serra. Ciò nonostante le Nazioni Unite hanno valutato le nuove promesse, concludendo che il miglioramento è stato soltanto limitato: se con le vecchie NDC il riscaldamento globale era stato ipotizzato a +3,2 gradi, ora il mondo viaggia verso quota +2,7.
Che cosa cambia tra 1,5° o 2° in più?
«Significa che stiamo viaggiando in una direzione catastrofica», ha commentato il segretario generale Antonio Gutierres. A confermare che cosa comporterebbe un riscaldamento di 2 gradi della media globale è stato un altro rapporto, commissionato nel 2015 all’IPCC, il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici.
A climatologi, glaciologi e meteorologi era stato chiesto che cosa cambierebbe, in concreto, con un riscaldamento di 1,5 o di 2 gradi centigradi alla fine del secolo (ovvero i due obiettivi fissati a Parigi).
Un esempio su tutti può far facilmente comprendere come mezzo grado centigrado possa rappresentare una differenza gigantesca. Secondo il documento dell’IPCC – intitolato Special Report 1.5 – con 1,5 gradi in più è possibile attendersi stagioni estive con la calotta glaciale artica completamente fusa soltanto una volta ogni secolo. Con 2 gradi in più lo stesso fenomeno potrebbe manifestarsi ogni decennio.
Guterres ha lanciato un nuovo appello alle nazioni, in particolare alle economie più avanzate, affinché si impegnino maggiormente nella lotta ai cambiamenti climatici. La Cop 26 di Glasgow è nata con questi auspici.
La finanza per i cambiamenti climatici: un settore sempre più determinante
Si può fare di più? Sì. Anche il tuo risparmio, piccolo o grande che sia, può essere determinante nella lotta alle emissioni e al cambiamento climatico. Questo perché scegliere un fondo etico, per esempio, può far confluire i flussi d’investimento verso determinati comparti economici, premiando quelli più sostenibili e abbandonando quelli a maggiore impatto negativo.