Il report “Banking on Climate Change 2020” mostra come le 35 principali banche d’investimento globali, nei quattro anni successivi all’accordo di Parigi (nato come risultato della Cop21), hanno continuato a destinare migliaia di miliardi ai combustibili fossili: circa 2.700 miliardi di dollari per finanziare carbone, petrolio e gas.
L’analisi è stata redatta dalle associazioni ambientaliste Rainforest Action Network, BankTrack, Indigenous Environmental Network, Oil Change International, Reclaim Finance e Sierra Club e pubblicata il marzo scorso.
Alcune grandi banche mondiali dunque continuano a ignorare gli inviti delle conferenze internazionali sul clima, in attesa della Cop26, programmata per novembre, organizzata congiuntamente da Uk e Italia, e rinviata al 2021 a causa dell’epidemia di coronavirus.
Negli ultimi quattro anni le grandi banche hanno aumentato i finanziamenti alle fossili
Dall’analisi condotta su dati finanziari pubblici di Bloomberg e altre fonti dalle organizzazioni ambientaliste emerge che, nonostante negli ultimi 12 mesi molte banche di investimento abbiano annunciato restrizioni al finanziamento del carbone, del petrolio e del gas artico e dell’estrazione di sabbie bituminose, le pratiche commerciali degli istituti finanziari non siano in linea con quanto stabilito dall’accordo di Parigi.
Al contrario, il rapporto avverte, negli ultimi quattro anni le grandi banche hanno aumentato nel complesso i loro finanziamenti a società con significative riserve di petrolio e gas artico. Il finanziamento globale da parte delle 35 banche analizzate verso 2.100 aziende di combustibili fossili è aumentato ogni anno dal 2015 e, secondo le stime del report, se continuerà a crescere con questo ritmo, arriverà a mille miliardi di dollari all’anno entro il 2030.
Le banche italiane? Più “ecologiche” di spagnole e tedesche
In cima alla classifica degli istituti bancari che investono più nel fossile risultano quattro big statunitensi (Jp Morgan Chase, Wells Fargo, Citi e Bank of America), le quali da sole fanno quasi un terzo dell’intera post. JpMorgan Chase su tutti, con 269 miliardi di dollari concessi in servizi finanziari per estrarre petrolio, gas e carbone.
Nel confronto con le altre realtà estere resta relativamente bassa la carbon footprint delle banche italiane, anche se i dati sono parziali e il trend decennale appare molto variabile a seconda dei diversi settori economici presi in considerazioni. Emerge dall’ultimo studio firmato da Ivan Faiella e Luciano Lavecchia, ricercatori di Banca d’Italia e dell’Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica (Oipe) del Centro studi di economia e tecnica dell’energia Giorgio Levi Cases.
Secondo l’indagine, intitolata “L’impronta di carbonio dei prestiti italiani” e pubblicata ad aprile nelle “Questioni di Economia e Finanza” edite da Via Nazionale, il contenuto di carbonio dei prestiti bancari, registrato in Italia tra il 2010 e il 2018, è stato pari mediamente a 330 grammi di CO2 equivalente per ogni euro. Il dato, calcolato come Intensità di carbonio dei prestiti (Icp), evidenzia la quantità di emissioni finanziate dai capitali concessi dagli istituti alle imprese che, con le loro attività, producono una certa dispersione di gas serra.
L’Icp, sottolinea lo studio, è stato superiore alla media per i prestiti bancari all’agricoltura, la manifattura e l’energia. Nel periodo in esame, inoltre, l’indicatore è aumentato del 19% nelle costruzioni mentre è calato nella manifattura (-21%), nell’agricoltura (-11%) e nell’energia (-5%).
La manifattura tedesca inquina quasi il doppio di quella italiana
La situazione italiana, in ogni caso, appare meno critica rispetto a quella di altri Paesi europei. Nel 2014, nota ancora la ricerca, l’intensità di carbonio dei prestiti alla manifattura tedesca era quasi il doppio di quella registrata in Spagna e addirittura il quadruplo di quella rilevata in Italia. Negli anni successivi, tuttavia, le differenze sono diminuite a causa della forte contrazione complessiva dell’Icp tedesca.
Il nostro Paese non è certo immune dal pericolo delle conseguenze dell’uso delle fonti fossili. Ogni anno l’inquinamento da fonti fossili causa direttamente o indirettamente 56mila morti premature e 61 miliardi di dollari di costi. Per questo è importante andare con coraggio e decisione verso le energie rinnovabili. Anche attraverso il divestment (non finanziare settori e attività che hanno a che fare con le fonti fossili) da parte del mondo della finanza.
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