Giustizia e crescita sono gli obiettivi della trasparenza fiscale. Sono ancora numerose, infatti, le imprese multinazionali che scelgono una strategia fiscale aggressiva, aggirando norme e convogliando denaro verso “paradisi” offshore o nella stessa UE. La Global minimum tax e l’iniziativa di un gruppo di comuni danesi sono un primo passo verso una maggiore equità. A tutto vantaggio del welfare e della società nel complesso.
Trasparenza fiscale: cos’è e perché è necessaria
Per trasparenza fiscale si intende l’insieme delle iniziative messe in atto dai governi per far sì che i soci di un’azienda che ha sede in un Paese a bassa tassazione paghino le imposte nel Paese di origine, o che una società costituita in un Paese a bassa tassazione – ma che genera reddito in un Paese ad alta tassazione – paghi le imposte dove il reddito è generato.
È intuibile come il concetto di trasparenza fiscale comporti una maggior giustizia fiscale e maggiori introiti, che gli Stati interessati potranno investire per il welfare (istruzione, sanità, sostegno delle fasce deboli della popolazione) e in settori come infrastrutture fisiche e digitali o la tutela ambientale.
Una strategia fiscale trasparente è sinonimo di crescita. I miglioramenti delle infrastrutture, dello stato di diritto e la fornitura di servizi di base sono parte integrante di un’economia moderna ed efficiente. Lo ha evidenziato la Commissione per la crescita e lo sviluppo, organismo indipendente sostenuto dalla Banca Mondiale: i Paesi con le migliori performance di crescita sono quelli che investono percentuali più elevate di PIL nei servizi pubblici.
Strategia fiscale aggressiva: uno scenario preoccupante
L’altra faccia della medaglia è rappresentata dall’elusione fiscale. Siamo in presenza di questa strategia quando i principi fiscali vengono aggirati pur rimanendo formalmente rispettati. La strategia fiscale tenuta dal soggetto è infatti conforme alle norme, ma non lo è rispetto alla ratio, cioè al principio ispiratore delle norme stesse.
Sono soprattutto le grandi società multinazionali a scegliere una strategia aggressiva da un lato riducendo al minimo i loro obblighi fiscali (ottenendo così vantaggi competitivi occulti) dall’altro generando ulteriori profitti attraverso rimborsi fiscali e benefici vari.
I numeri parlano chiaro. Secondo uno studio pubblicato da ITEP (Institute on Taxation and Economic Policy), nel 2017 le società della lista Fortune 500 detenevano offshore circa 2.600 miliardi di dollari. Secondo un altro studio, The Missing Profits of Nations, messo a punto da Thomas Tørsløv e Ludvig Wier dell’Università di Copenaghen e Gabriel Zucman dell’Università di Berkeley (California), nel 2018 le multinazionali hanno abbattuto il loro gettito fiscale adottando una strategia che ha permesso di spostare più di 900 miliardi di dollari verso i paradisi fiscali.
L’elusione aumenta anche in Italia: nel 2018 sono stati dirottati verso i “paradisi” 31,7 miliardi di dollari (27,12 miliardi di euro), una cifra di molto superiore rispetto ai 25 miliardi del 2015, con una perdita per l’erario di 6,5 miliardi di euro. Una condizione simile si vive sia nei principali Paesi europei sia negli Stati Uniti, ma con una differenza: secondo i ricercatori, le multinazionali statunitensi trasferiscono più profitti (60%) rispetto a quelle di altri Paesi (40%).
La galassia dei paradisi fiscali
Per trovare un “paradiso fiscale” dobbiamo guardare a quegli Stati o territori autonomi nei quali la tassazione è estremamente ridotta, al fine di attrarre i capitali stranieri, consentendo notevoli risparmi a chi vi stabilisce la residenza o la sede legale. Sono paradisi fiscali anche i centri finanziari offshore, cioè Stati e territori che ospitano banche, assicurazioni e gestori di fondi senza imporre alcuna regolamentazione fiscale.
Dove sono i paradisi fiscali?
La lista nera redatta dalla UE comprende principalmente quei Paesi che rifiutano uno scambio automatico di informazioni con gli altri Stati e le loro agenzie delle entrate. Il gruppo è composto da Samoa Americane, Cayman, Figi, Guam, Oman, Palau, Panama, Samoa, Trinidad e Tobago, Isole Vergini Americane, Vanuatu e Seychelles. Questa lista, tuttavia, non comprende gli Stati membri della UE che offrono condizioni fiscali e di governance eccessivamente favorevoli. Sempre secondo The Missing Profits of Nations, l’87% degli utili d’impresa trasferiti artificialmente dalle società italiane nel 2017 è finito in sei giurisdizioni europee: Belgio, Cipro, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Paesi Bassi.
Strategia fiscale: la Global minimum tax
Il G20 riunito a Roma nell’ottobre del 2021 ha dato il via libera a una direttiva – da attuare nel 2023 – che introduce nell’UE la tassazione minima del 15% per le multinazionali con volume d’affari superiore a 750 milioni di euro. La tassa dovrebbe colpire soprattutto i colossi del web. L’OCSE stima che potrebbe generare ogni anno fino a 150 miliardi di dollari di entrate fiscali globali aggiuntive.
Un’arma a doppio taglio?
Secondo alcuni commentatori si tratta, però, di un provvedimento ancora poco incisivo: «è un compromesso al ribasso che andrà essenzialmente a vantaggio dei Paesi ricchi», hanno spiegato al quotidiano francese Le Monde i membri della Commissione indipendente per la riforma della fiscalità internazionale delle imprese (Icrict).
L’aliquota del 15%, anziché del 21% o del 25% come proposto inizialmente, rappresenta «un successo per l’Irlanda, ma una sconfitta per il resto del mondo». Tanto più che la minimum tax attribuisce le entrate fiscali aggiuntive ai Paesi nei quali si trovano le sedi legali delle multinazionali, quindi alle nazioni più sviluppate.
Per contro, c’è invece chi sostiene che l’iniziativa rischia di minare i principi della libertà economica e di penalizzare i Paesi con economia di scala ridotte, che non potrebbero più fare leva su una fiscalità agevolata per attrarre investimenti.
Un freno ai paradisi fiscali: l’esempio danese
Anche a livello locale si cercano soluzioni e strategie per ridurre l’impatto dei “paradisi” sull’economia globale. La ricerca Responsible tax engagement, avviata un paio di anni fa in Danimarca dalla società Engagement International in collaborazione con la città di Aarhus, ha sviluppato un progetto in più fasi per affrontare l’elusione fiscale delle imprese negli investimenti e negli acquisti.
Questa ricerca ha dato i suoi frutti: Aarhus, insieme ad altre 12 città danesi, è stata firmataria della Charter for Tax-Haven-Free Municipalities sviluppata dalla ONG Oxfam IBIS. La Carta chiede ai proprietari di beni comunali di evitare di investire e di acquistare da società registrate nei paradisi fiscali.
Trasparenza fiscale e finanza etica
In tema di investimenti finanziari, la valutazione del comportamento di un’impresa in ambito ambientale, sociale e di buona governance (ESG) deve comprendere anche i principi di trasparenza fiscale e abbandono dei paradisi fiscali.
La politica di Etica Sgr
Etica Sgr a si impegna sul tema della trasparenza fiscale perché questo porta a una maggior giustizia fiscale, quindi introiti che gli Stati possono investire per il sociale di quel Paese dove i ricavi sono stati generati: welfare, innovazione e tutela ambientale.
Il nostro approccio all’investimento responsabile sostiene una strategia fiscale trasparente da parte delle aziende che operano su più mercati, al fine di valutare e gestire adeguatamente i rischi degli investimenti per la composizione dei propri fondi comuni e per l’economia in generale.
A tal fine, la nostra società ritiene sia giunto il momento che i membri dell’Inclusive Framework dell’OCSE si muovano affinché sia al più presto deliberata la pubblicazione dei report country-by-country delle grandi aziende. Questo al fine di offrire alle società di investimento informazioni trasparenti per prendere decisioni valide quando si valuta la redditività di una società e il rischio finanziario paese per paese.
Si tratta di un’importante questione strategica e politica per gli investitori interessati alla creazione di valore a lungo termine.
Etica Sgr è anche tra i co-firmatari di un’iniziativa di engagement rivolta al Congresso degli Stati Uniti per sostenere il Disclosure of Tax Havens and Offshoring Act (Legge sulla trasparenza riguardo paradisi fiscali e società offshore). La legge ha l’obiettivo di proporre la rendicontazione Paese per Paese (Country-by-Country Reporting, CbCR) per le società quotate. Inoltre, Etica Sgr, insieme a Greater Manchester Pension Fund e Missionary Oblates, a giugno 2022 ha presentato una mozione degli azionisti alla società Cisco Systems, proponendo all’azienda di pubblicare un rapporto sulla trasparenza fiscale in linea con il GRI Tax Standard.