Il rapporto Oxfam “Disuguaglianza. Il potere a servizio di pochi” mette in luce una realtà sconcertante: oggi lavorare non significa uscire dalla povertà. Questa situazione rappresenta una delle tante manifestazioni delle disparità economiche evidenziate dal documento. L’analisi condotta dall’organizzazione non profit, che si dedica alla lotta contro la povertà globale, rivela che nel 2022, solamente lo 0,4% delle più di 1.600 aziende maggiori e più influenti a livello mondiale si è impegnato a garantire ai propri dipendenti un salario che possa essere considerato dignitoso.
Se da una parte la promessa di dignità del lavoro viene tradita, dall’altra assistiamo al raddoppiare della ricchezza dei principali detentori del capitale monetario globale. Dal 2010 il patrimonio dei 5 miliardari più ricchi al mondo è più che raddoppiato, di contro la ricchezza del 60% più povero della popolazione mondiale non ha registrato nessuna crescita. Mentre 4,8 miliardi di persone reagiscono all’inflazione rinunciando a beni essenziali, i più ricchi hanno visto il valore dei propri patrimoni crescere in tre anni di 3.300 miliardi di dollari in termini reali. Con un tasso di crescita tre volte superiore a quello dell’inflazione.
Quando il potere economico genera disuguaglianza
Amitabh Behar, direttore ad interim di Oxfam, ha definito “osceno” il livello di disuguaglianze. La ragione non risiede meramente nel volume di ricchezza dei più benestanti al mondo, bensì nel fatto che questa opulenza, invece di generare benessere, moltiplica le disparità. Una delle principali tesi dello studio di Oxfam, è che le grandi imprese utilizzano il proprio potere di mercato agendo con modalità che generano e aumentano ulteriormente le disuguaglianze, invece di diminuirle. E lo fanno principalmente in quattro modi:
- ricompensando la ricchezza e non il lavoro;
- eludendo gli obblighi fiscali;
- beneficiando della privatizzazione dei servizi pubblici;
- alimentando la crisi climatica.
Secondo l’analisi di Oxfam per ogni 100 dollari di profitti generati da 96 grandi gruppi aziendali, tra luglio 2022 e giugno 2023, 82 dollari sono stati corrisposti agli azionisti attraverso due modalità principali, buyback azionari e dividendi.
Il lavoro non ricompensato
Il buyback azionario, o riacquisto di azioni proprie, rappresenta un’operazione attraverso la quale un’azienda riacquista le proprie azioni sul mercato aperto. Questo processo riduce il numero complessivo di azioni in circolazione, aumentando di conseguenza il valore delle azioni residue. I dividendi invece sono pagamenti periodici fatti agli azionisti come distribuzione degli utili dell’azienda, una forma diretta di restituzione del profitto agli investitori. Nulla di male, se non fosse che questa dinamica influisce negativamente sul volume delle risorse finanziarie disponibili per altri impieghi come gli investimenti per ridurre l’impatto ambientale e, naturalmente, l’incremento dei salari dei dipendenti.
L’elusione degli obblighi fiscali
L’inasprimento delle disuguaglianze è strettamente collegato alle pratiche di elusione delle tasse (chi sfrutta lacune ed imperfezioni del sistema normativo e la mancanza di trasparenza fiscale) e al ricorso ai paradisi fiscali: secondo le stime Oxfam circa 200 miliardi di dollari vengono persi ogni anno dagli Stati a causa di pratiche fiscali scorrette. Tutto questo si traduce in scuole non costruite, tagli alla sanità e alla ricerca. Per di più l’aliquota legale media sui redditi societari si è più che dimezzata nei Paesi OCSE negli ultimi quattro decenni: nel 1980 era al 48%, nel 2022 al 23,1%.
La privatizzazione dei servizi pubblici
I servizi essenziali come l’accesso all’acqua, la sanità, l’istruzione non rappresentano solo la conditio sine qua non per la sopravvivenza di una comunità, ma anche un giro d’affari di migliaia di miliardi di dollari. Il rischio di non limitare la mercificazione dei servizi essenziali è quello di indebolire la capacità dei governi di garantire servizi pubblici di qualità, a chi non è in grado di pagare il privato per ottenerli. Per di più, lo scarso e inadeguato finanziamento dei servizi pubblici può essere considerato una privatizzazione di fatto, poiché gli utenti dei servizi devono rivolgersi ad operatori del settore privato per soddisfare i propri bisogni di base.
Gli investimenti nell’economia fossile
Profitti a breve termine, negazionismo e greenwashing rappresentano gli ingredienti principali di un cocktail letale, nel vero senso della parola, per il nostro Pianeta. Malgrado le evidenze scientifiche indichino l’economia fossile come la maggiore responsabile del riscaldamento globale, l’1% più ricco del mondo fa molta fatica a cambiare il proprio modello di business. Lo dice il Fondo monetario internazionale secondo il quale nel 2022 la spesa per i combustibili fossili ammontava a più del 7% del Pil globale. E molti dei miliardari che fanno parte dell’élite dell’1% sono miliardari proprio perché controllano e traggono profitto da processi produttivi ad alta intensità di carbonio. Nel 2022, Oxfam ha condotto un’analisi dettagliata su 125 tra i miliardari più ricchi al mondo rilevando come, in media, le emissioni associate ai loro investimenti ammontino a tre milioni di tonnellate di CO2 all’anno – oltre un milione di volte di più rispetto alle emissioni medie di chi si colloca nel 90% più povero dell’umanità.
Il rapporto di Oxfam si chiude affermando che contrastare le disuguaglianze non è una “missione impossibile”. Infatti è possibile intervenire tramite precise scelte di politica pubblica e dando centralità al problema delle disparità. Il tema riguarda la società nella sua interezza: elevati livelli di disuguaglianza sono correlati con un’elevata instabilità economica e maggiori rischi di crisi finanziarie, alti livelli di corruzione e criminalità, ma anche minore salute fisica e mentale. In sintesi la disparità è uno svantaggio non solo per chi ne è colpito ma per l’economia di ogni Paese, come afferma il Premier Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz e i ricercatori dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (OECD) nello studio “Tendenze nell’ineguaglianza dei redditi e il loro impatto sulla crescita economica”.
Finanza etica e disuguaglianza
La finanza etica può dimostrarsi un potente strumento di contrasto alle disuguaglianze, generando effetti positivi per l’ambiente e la società, ancor di più in momenti di conversione energetica e di importanti allocazioni di risorse da parte degli Stati coinvolti.
Come più volte noi di Etica Sgr abbiamo detto, la crisi generata dal Covid-19 offre l’occasione di ricostruire l’economia in modo più sostenibile e di adottare politiche che promuovono sistemi più equi e inclusivi.
Per esempio possiamo cogliere l’occasione per ricostruire il welfare, puntando a una copertura sanitaria universale e gratuita, si può investire di più nell’istruzione e in altri servizi pubblici che possono ridurre le disuguaglianze. Possiamo promuove il lavoro dignitoso e libero dallo sfruttamento. Si possono promuovere modelli di impresa che distribuiscano il valore in modo più equo tra tutti gli stakeholder e che non siano concentrati sulla mera massimizzazione degli utili per gli azionisti. Ma anche attuando politiche orientate alla giustizia fiscale. E riorientare i modelli di produzione e consumo in modo da porre un freno alla grave crisi climatica.
Come puoi partecipare anche tu? Votando con il portafoglio.
Si prega di leggere le Note legali.