Nel contesto attuale di crescente consapevolezza sociale e ambientale, il concetto di sostenibilità sta prendendo sempre più piede. Ma quando si tratta di stipendi da manager, sembra che la sostenibilità sia ancora un traguardo lontano. L’attuale situazione di disparità salariale, lontana da un modello equo e sostenibile, mina la coesione sociale e mette a dura prova la fiducia nelle istituzioni economiche.
Da una parte, si argomenta che le ingenti somme incassate dai capitani d’industria siano la giusta ricompensa per la responsabilità che ricoprono e per il loro contributo alla crescita e al successo delle imprese. Dall’altra, si contesta la sproporzione abissale tra questi stipendi ‘maxi’ e le remunerazioni medie dei lavoratori, un divario che sembra non fare altro che crescere. Gli stipendi dei grandi AD lasciano esterrefatti non solo per gli importi, ma anche perché spesso prevedono incentivi fondati sull’esclusivo conseguimento di utili. Ora qualcosa sta cambiando, soprattutto nell’ottica di legarli alle performance ESG.
Stipendi CEO: una forbice sempre più larga
I giornali non esagerano quando riferiscono della forbice (pay gap) sempre più abissale che si è creata tra i compensi degli amministratori delegati delle grandi aziende e gli stipendi di quadri o di semplici dipendenti. Sembrano l’eco di un’epoca preistorica le parole di Vittorio Valletta, manager FIAT durante il boom economico, che dichiarava scandalizzato:
Nessun dirigente, neanche il più alto in grado, deve guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario minimo.
Dagli anni ’80 dello scorso secolo, in Europa, la differenza salariale tra top manager e dipendenti è aumentata costantemente: da un massimo di 45 volte rispetto allo stipendio del dipendente meno pagato fino alle 649 volte del 2020. Anche i dirigenti intermedi hanno visto aumentare il divario, ma in modo meno marcato: da 8 volte lo stipendio di un operaio nel 2008 a 10 nel 2020. A testimonianza di un trend che coinvolge tutti i livelli dirigenziali.
Come viene calcolato lo stipendio dei manager
Tutto questo denaro non viene “estorto” alla proprietà dell’azienda: il mercato degli stipendi dei manager è infatti regolato dalla principale legge dell’economia, quella della domanda e dell’offerta. Con una variante accessoria: la retribuzione dei manager aumenta proporzionalmente, e talvolta esponenzialmente, con la dimensione dell’azienda e la sua presenza sul mercato globale.
Il compenso di un amministratore delegato prevede una parte fissa e una variabile. La prima è lo stipendio, comprensivo anche di diversi benefit (auto aziendale, buoni acquisto, assistenza sanitaria, polizze assicurative), che solitamente si aggira attorno al 40% dell’importo totale. C’è poi la parte variabile, scorporabile a sua volta in due voci: stock option e incentivi.
Stock option
Le stock option sono strumenti di incentivazione concessi di solito ai top manager (ma anche a livelli inferiori del management) per stimolare un maggiore impegno nella creazione del profitto aziendale. Il manager può acquistare dei titoli della società entro un termine stabilito e a un prezzo fissato al momento dell’offerta: la differenza di valore delle azioni tra il prezzo iniziale e quello raggiunto entro il termine costituisce l’utile legato alla migliore produttività conseguita.
Incentivi
Un altro modo di legare la retribuzione ai risultati raggiunti è il sistema MBO (Management by Objectives), cioè una serie di obiettivi misurabili e raggiungibili, in grado di orientare le azioni dei manager verso i risultati strategici auspicati. Naturalmente, gli importi e la quota parte di questi incentivi sono estremamente variabili.
I numeri di una profonda disuguaglianza
In Europa, i settori più coinvolti in questo pay gap sono quelli dell’automotive, delle banche, dei servizi finanziari in genere e della moda. Questo in linea di massima, perché esistono infatti numerose eccezioni, che vedremo di seguito. Un dato è certo. La tendenza è pressoché identica in tutto il mondo occidentale, al di là dell’Atlantico, così come in Europa.
I dati degli USA
Dal 2018 le aziende statunitensi quotate in borsa sono obbligate a rendicontare il divario di retribuzione. Un’operazione di trasparenza che fotografa la situazione ma non sposta i flussi di denaro che affluiscono verso i vertici. Nel 2019 uno studio dell‘Economic Policy Institute illustrava come la retribuzione dei dirigenti aziendali fosse aumentata di oltre il 1000% negli ultimi quattro decenni, cioè quasi 100 volte in più rispetto all’aumento dei salari medi dei lavoratori.
Secondo uno studio elaborato nel 2022 dall’Institute for Policy Studies, un Ceo guadagna in media circa 10,6 milioni di dollari, cioè 670 volte in più di un suo dipendente, segnando un significativo incremento rispetto al moltiplicatore del 2020, fermo a 640, e vicino al dato europeo di 649. Esistono poi dati abnormi come il caso di Kevin Clark, Ceo di Aptiv PLC, azienda automotive, che con 31,2 milioni di dollari guadagna 5.294 volte uno stipendio medio. O David Goeckeler (Western Digital Corporation) la cui remunerazione è 4.934 volte quella di un suo operaio.
I dati in Italia e in Europa
I dirigenti delle società europee hanno compensi leggermente più bassi rispetto a quelli americani, ma quanto a pay gap non sono da meno. Il 16% degli amministratori delegati delle società quotate sul Ftse Mib ha guadagnato più di 5 milioni di euro nel 2021, mentre il compenso medio ammonta a poco più di 2 milioni di euro (nel 2020 era di 1,7 milioni).
Al vertice spicca il caso esorbitante dell’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, che con 19,1 milioni di euro nel 2021 ha portato il moltiplicatore a 758 volte lo stipendio di un suo operaio. Una performance legata ai dati economici del gruppo, che durante la sua gestione hanno segnato 14 punti percentuali in più di ricavi.
Gli importi presentati finora si pongono in palese controtendenza rispetto ai dati che coinvolgono i normali lavoratori. Negli ultimi quindici anni gli stipendi medi degli operai hanno subito una riduzione del 4%, che si somma all’erosione provocata dall’inflazione (8% nel 2022).
Perché gli stipendi dei manager non sono sostenibili
Questi squilibri risultano tanto più evidenti in un periodo di gravi tensioni geopolitiche come quello che stiamo vivendo. L’Economic Policy Institute sostiene che una riduzione dei compensi degli amministratori delegati non provocherebbe danni all’economia, e che misure di contenimento (imposte più elevate sui compensi massimi o alle aziende che presentano un pay gap eccessivo) potrebbero essere messe in atto senza difficoltà.
Tuttavia, quando si parla di sostenibilità il concetto si amplia. Da alcuni anni le aziende stanno prendendo in considerazione le misure di performance ESG nei piani di incentivazione. Ad esempio, collegando la remunerazione dei dirigenti alla diversità nella forza lavoro, alla soddisfazione del cliente, alla sicurezza dei dipendenti e dei prodotti e ai programmi anticorruzione.
Il modello arriva dagli Stati Uniti, dove è in continua crescita la percentuale di grandi aziende (incluse nell’indice azionario S&P 500) che hanno adottato misure di performance ESG: dal 66% nel 2020 al 73% nel 2021. Un dato da affiancare però al rapporto 2020 sulle retribuzioni dei dirigenti (diffuso dalla società di olandese Sustainalytics).
Secondo i ricercatori, infatti, meno del 10% delle aziende quotate dell’indice FTSE All-World – che comprende più di 3.000 società di quasi 50 Paesi diversi – utilizzerebbe criteri di sostenibilità nella determinazione dei compensi. Gli incentivi sarebbero limitati soprattutto ai rischi di salute e sicurezza sul lavoro, poco diffusi e poco trasparenti.
Prospettive per il futuro
I primi mesi del 2023 sembrano segnare un’inversione di tendenza, soprattutto negli stipendi dei manager delle multinazionali dell’IT e dei principali colossi bancari. Tim Cook di Apple e Pat Gelsinger di Intel hanno annunciato un taglio delle rispettive remunerazioni, forse anche a causa di una contrazione del mercato. Analoga disponibilità da parte dei vertici di Jp Morgan, Morgan Stanley e Goldman Sachs.
Come risultato della crescente attenzione al cambiamento climatico, è cresciuta notevolmente anche la quota di aziende S&P 500 che lega la retribuzione dei dirigenti agli obiettivi di riduzione delle emissioni: dal 10% nel 2020 al 19% nel 2021. In Italia, secondo i dati contenuti nell’ Integrated Governance Index 2021 (questionario sviluppato da EticaNews) il 69% delle aziende dichiara di legare la remunerazione dei manager a obiettivi di performance ESG, sulla scia di un trend in costante aumento dal 2018 (quando il dato si attestava al 24%). Un orientamento che dovrebbe confermarsi anche nei prossimi anni, a dimostrazione della grande importanza assunta dalla sostenibilità nelle strategie aziendali.
Manager banche tradizionali vs Manager banche etiche: una storia virtuosa
Anche le grandi banche tradizionali non sfuggono al pay gap. Più volte i mezzi di informazione hanno riportato in notizie di bonus, premi e stipendi esorbitanti assegnati anche in assenza di significativi risultati economici. In media, le principali banche sistemiche europee pagano gli amministratori delegati 65 volte in più rispetto agli impiegati. Al contrario, le banche etiche impongono tetti vincolanti alle retribuzioni dei manager. Con moltiplicatori dei compensi massimi che si aggirano attorno a 10 volte gli stipendi medi.
La politica di Etica Sgr
Le politiche retributive del Gruppo Banca Etica sono ispirate ai principi appena visti. Nell’ottica della massima trasparenza, i meccanismi di remunerazione che regolano le aziende del gruppo vogliono garantire una vita dignitosa e nel contempo non essere fonte di sperequazione fra le persone, riconoscendo compensi diversi in base alla professionalità. Per questo è stato introdotto un rapporto massimo di 1 a 6 tra la retribuzione più alta e la più bassa. In modo da applicare il concetto di responsabilità ed equità a ogni livello del suo operare economico.
Etica Sgr e l’engagement per una maggiore sostenibilità e trasparenza delle aziende
L’engagement rappresenta per Etica Sgr un elemento imprescindibile del modo di intendere e praticare gli investimenti responsabili. L’obiettivo di questa attività è condurre le imprese verso comportamenti più sostenibili, portandole ad assumere decisioni che prendono in considerazione anche tematiche sociali, ambientali e di buon governo (ESG) nelle proprie politiche aziendali.
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