Aumento dei prezzi delle materie prime, una tendenza in atto fin dal 2021. Tra le cause, soprattutto in UE, possiamo considerare la crisi dell’offerta post-pandemia, la guerra in Ucraina e il costo dell’energia. Come si muove la finanza etica in questo scenario?
La crisi c’è. Ce ne stiamo accorgendo in questi ultimi mesi, con l’incremento vertiginoso delle bollette energetiche e soprattutto con l’inflazione galoppante. Fenomeni che erodono significativamente il potere di acquisto e i risparmi, in considerazione dell’incremento più o meno generalizzato dei prezzi di beni e servizi che ne derivano. Ma ciò che scontiamo oggi è (anche) l’effetto dell’aumento dei prezzi delle materie prime abbattutosi sul mercato mondiale già dalla seconda metà dello scorso anno (2021).
La crisi dei prezzi delle materie prime
La causa principale è da ricercarsi nella pandemia di COVID-19. Prima c’è stato un prolungato stop alle produzioni aziendali e poi, con le riaperture, una ripresa della domanda di beni a livello mondiale. Un fenomeno così repentino che il mercato non è stato in grado di rispondere nel breve e medio periodo. Un effetto ulteriormente amplificato dal riscaldamento globale, che impatta sulla resa delle produzioni agricole e dalla crisi geopolitica in seguito all’invasione russa dell’Ucraina.
Il prezzo di combustibili ed energia
Negli ultimi mesi nell’Unione europea i prezzi dell’elettricità e del gas sono aumentati in maniera spropositata, tant’è che si chiede a gran voce una riforma delle modalità con cui vengono fissati e un tetto massimo per la vendita.
Anche in questo caso, però, il trend ha origini lontane: il prezzo all’importazione dell’energia nella zona euro era più che raddoppiato già tra dicembre 2020 e dicembre 2021 mentre, nello stesso periodo, i prezzi al consumo di energia elettrica, gas e altri combustibili erano aumentati del 25%. E questa situazione non ha fatto che peggiorare: all’inizio del 2022 i prezzi per la produzione dell’energia sul mercato interno UE avevano già subito un incremento di quasi tre quarti (73%).
Il prezzo del grano
Uno scenario analogo contraddistingue anche il mercato del grano, particolarmente significativo a livello mondiale. Nonostante il clamore suscitato dal blocco dei porti ucraini, il prezzo di questo cereale, che è in costante aumento, segue una tendenza che è frutto di diversi fattori. Non ultimo quello climatico che, con la siccità, ha inciso notevolmente sulle recenti produzioni italiane ed europee.
Secondo gli studi del Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) nel biennio 2022-2023 le produzioni di grano (e di mais) a livello mondiale subiranno un calo rispetto all’annata precedente (per il grano dello 0,9%, mentre per il mais in Europa addirittura del 15%), prospettando così un aumento dei prezzi.
Parallelamente, però, in alcune borse (per esempio quella di Parigi) le quotazioni dei future, che dovrebbero fornire un’indicazione di prezzo per i mesi successivi, danno numeri in calo rispetto ai picchi dei mesi precedenti: 328,50 euro/tonnellata per i future a dicembre 2022, per scendere fino a 324 euro/tonnellata nel maggio 2023. Sono dati che – a conferma della complessità del quadro – non trovano riscontro ovunque: le borse di Londra e Chicago, infatti, presentano future con quotazioni superiori. In ogni caso, attualmente le previsioni generali concordano su un fatto: per arrivare a un prezzo del grano vicino a quello di qualche mese fa, bisognerà attendere il 2025.
È evidente quindi che, in queste condizioni, è estremamente difficile definire un quadro previsionale preciso. La speranza è che in tutto questo, per scongiurare esiti disastrosi, intervenga una politica ben direzionata, che metta in campo azioni concrete di contrasto ai cambiamenti climatici, sostenga la ricerca scientifica per ottenere sementi in grado di resistere agli stress ambientali, e adotti una strategia ben definita di acquisti. Così si potrà colmare la flessione produttiva, governare i prezzi e allontanare lo spettro di una crisi alimentare globale. Certo il prezzo non tornerebbe ai livelli passati ma lo scenario sperato è che vengano limitati gli interventi speculativi e incentivate le dinamiche dell’economia reale.
I fattori dell’aumento dei prezzi delle materie prime
Tecnicamente sono tre i fattori che determinano la crescita dei prezzi:
- l’aumento della domanda, soprattutto a fronte di un’offerta globale stazionaria o in decremento, come nel caso della contrazione produttiva vissuta negli ultimi due anni per la pandemia;
- i fattori geopolitici, che riducono l’approvvigionamento sul mercato di alcuni beni;
- il tasso di cambio con il dollaro, cioè le fluttuazioni delle altre monete rispetto alla divisa con la quale si stabiliscono le principali quotazioni e transazioni di materie prime.
Ma c’è un quarto incomodo: i derivati, i contratti finanziari che, nati per coprire dai rischi sull’acquisto futuro di beni (comprese le materie prime), si sono trasformati in strumenti speculativi che scommettono sull’incertezza e le oscillazioni del mercato. Sono prodotti finanziari che generano immediati guadagni ma anche una forte volatilità nei prezzi al consumo.
Il ruolo della guerra in Ucraina
A livello europeo, il principale fattore geopolitico che ha contribuito a un aumento dei prezzi è stato lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina. Il caso più noto è quello del gas naturale, il cui costo è schizzato alle stelle negli ultimi mesi – generando extraprofitti per le imprese energetiche e riverberando i suoi effetti negativi sui Paesi maggiormente legati a questo approvvigionamento energetico, come Italia e Germania. Trend in crescita costante fin dalla ripresa post-pandemia, cioè dal 2021 anche per quanto riguarda i prezzi dei cereali, delle materie prime di origine agricola (cotone, legno ecc.) e dei metalli (eccezion fatta per il nickel, aumentato significativamente dallo scoppio della guerra). In questi casi il conflitto è solo un elemento aggiuntivo rispetto a una tendenza già in atto.
La posizione della finanza etica
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