Inquinamento del Mediterraneo: 1.178.000 tonnellate di plastica accumulata e il 7% delle microplastiche globali rendono il Mare Nostrum uno dei mari più inquinati della Terra.
Lo sostiene l’ultimo report dell’International Union for Conservation of Nature and Natural Resources (IUCN).
Una direttiva europea contro l’usa e getta
Non dobbiamo dimenticare che il Mare Mediterraneo è collegato all’Oceano Atlantico solo dallo stretto di Gibilterra ed ha una conformazione semichiusa, circondata da tre continenti che agiscono come trappola per i detriti di plastica. È un mare che subisce la pressione antropica di oltre 150 milioni di persone, le quali producono in media tra i 208 e i 760 kg all’anno di rifiuti solidi pro capite. Il suo bacino raccoglie inoltre le acque di diversi fiumi provenienti da territori altamente popolati e portatori, a loro volta, di inquinanti e di plastiche, come per esempio il Nilo, il Rodano e il Po.
Ridurre l’uso e la produzione di plastica è una delle strade obbligate: occorrono azioni collettive e dirompenti, specie se consideriamo altri fenomeni ambientali che mostrano già i loro pesanti effetti, come i cambiamenti climatici e il surriscaldamento delle acque. Va in questa direzione la direttiva 904 Single Use Plastic (Sup) contro l’usa e getta, varata dal Parlamento Europeo nel 2019 ed entrata in vigore il 3 luglio 2021. Bandisce, infatti, in tutto il continente europeo cannucce, piatti e stoviglie, cotton fioc in plastica monouso. Impone inoltre la forte riduzione di altri oggetti come le tazze per bevande e alcuni contenitori in plastica per alimenti. Da sola, tuttavia, questa norma non è sufficiente.
Inquinamento del Mediterraneo: un “mare di plastica”
IUCN sostiene che la principale causa della dispersione della plastica nel Mare Nostrum è la cattiva gestione del ciclo dei rifiuti su terra ferma. Ha calcolato che si accumulano nel Mediterraneo almeno 229 mila tonnellate di plastica ogni anno, equivalenti a più di 500 container al giorno. Una quantità che potrebbe raddoppiare entro il 2040, se non saranno presi provvedimenti seri.
Letteralmente un “mare di plastica” e, come concordano anche i più recenti studi scientifici, nel Mediterraneo rifiuti e particelle di plastica tendono più a concentrarsi sulle coste e sul fondo del mare che ad accumularsi in superficie. Anche se, pure il Mediterraneo, non è del tutto esente dal fenomeno “isole di plastica” come avviene negli oceani.
L’analisi dei frammenti dispersi nell’ambiente effettuata dagli scienziati evidenzia che l’inquinamento proviene soprattutto dai seguenti Paesi:
- Egitto: circa 74.000 tonnellate/anno,
- Italia: circa 34.000 tonnellate/anno,
- Turchia con 24.000 tonnellate/anno.
Inoltre continuano ad aumentare le cosiddette “microplastiche primarie”. Cioè la plastica che entra negli oceani sotto forma di piccole particelle. Il flusso delle microplastiche primarie nel Mediterraneo è stimato in 13.000 tonnellate/anno. La polvere di pneumatico è la più grande fonte con ben il 53%, seguita dai prodotti tessili che raggiungono il 33% e dalle microsfere nei cosmetici, da sole il 12%
Gli effetti sull’ecosistema e sull’uomo
L’inquinamento da plastica può causare danni a lungo termine agli ecosistemi terrestri e marini e alla biodiversità.
Gli animali marini possono rimanere impigliati o inghiottire rifiuti, reti, sacchetti praticamente indistruttibili, morendo soffocati o di fame. I rifiuti di plastica rilasciano nell’ambiente sostanze chimiche come gli additivi, spesso interferenti endocrini che possono essere dannosi per la salute umana. Secondo gli scienziati, l’aumentato potenziale di bioaccumulo di queste sostanze chimiche ha effetti tossicologici sull’ambiente marino e sulla salute umana attraverso la catena alimentare.
Le microplastiche sono state riscontrate in svariati cibi, pesci, molluschi. Ma anche nello zucchero, nel sale e nella birra. Un quadro drammatico che aiuta a comprendere come le attuali misure previste non siano sufficienti per ridurre la dispersione di plastica ha ribadito Minna Epps, direttore del programma globale marino e polare dell’IUCN.
Se già alcuni studi e indagini epidemiologiche hanno attestato la presenza di microplastiche e dei loro additivi nel corpo di bambini e adolescenti, ha destato molto scalpore la scoperta di microplastiche nella placenta umana, come è emerso dalla ricerca dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dal Politecnico delle Marche pubblicata sulla rivista scientifica Environment International.
Occorrono azioni urgenti come l’attuazione estesa della politica “rifiuti zero”, l’abolizione dei prodotti e del packaging di plastica monouso, la riduzione e il riciclo della produzione di rifiuti.
Aumenta ancora la produzione di plastica: non è sostenibile
Considerando il prossimo aumento annuale della produzione globale di plastica pari al 4%, il rapporto IUCN ha delineato diversi scenari e valutato le azioni chiave che potrebbero contribuire a ridurre i flussi di plastica nel Mediterraneo nei prossimi 20 anni. Intanto, sottolineano gli esperti, a fronte di questi dati, i governi, le industrie, gli istituti di ricerca devono lavorare in modo collaborativo per riprogettare i processi e le catene di approvvigionamento, investire nell’innovazione e adottare modelli di consumo sostenibili.
Ridurre l’uso e la produzione di plastica è indispensabile per fermare il suo arrivo in mare, ha affermato Antonio Troya, direttore del Centro IUCN per la cooperazione mediterranea. Senza dimenticare il ruolo dei consumatori, fondamentali per indirizzare, con le loro scelte, il mercato.
Dalla Convenzione di Barcellona alla Strategia Marina: i passi dell’Europa
Sin dal 1976 l’Europa ha cercato di intervenire per frenare l’inquinamento del Mare Nostrum, a partire dalla Convenzione di Barcellona, adottata da 21 Paesi che si affacciano sul bacino e dall’Unione europea. La convenzione impegna le parti ad azioni concrete per prevenire, combattere ed eliminare l’inquinamento del mare Mediterraneo e per proteggere e valorizzare l’ambiente marino dell’area.
Impegno che si è concretizzato parzialmente nel 2008 con la direttiva quadro UE sulla strategia marina. Ma non basta. Occorre agire in modo ancora più tempestivo. Specie pensando ai volumi di rifiuti plastici usa e getta dispersi nell’ambiente durante la pandemia da covid-19. E per farlo bisogna migliorarne la gestione, a partire dalla loro raccolta, la fase più critica della filiera.
Secondo gli autori del rapporto IUCN, più di 50.000 tonnellate di plastica sversate nel Mediterraneo potrebbero essere evitate ogni anno, adottando gli standard delle migliori pratiche globali di riciclo già esistenti. Un freno poi può essere dato attraverso i divieti di utilizzo, come quello alle borse di plastica che dovrebbe diventare globale.
L’allarme del programma delle Nazioni Unite a tutela del mar Mediterraneo
Tutte politiche indispensabili e necessarie per motivi di ordine ambientale, sanitario e economico. Plan Bleu, centro di attività regionale del programma delle Nazioni Unite a tutela del mar Mediterraneo istituito dalla Francia nell’ambito della Convenzione di Barcellona, ha pubblicato “The State of the Environment and Development in the Mediterranean“. Il rapporto dimostra che l’aumento della disuguaglianza, la perdita di biodiversità, l’impatto dilagante dei cambiamenti climatici e la pressione crescente sulle risorse naturali, potrebbero provocare danni ambientali irreversibili. E la plastica è il simbolo di un modello fallimentare e insostenibile.
Secondo gli esperti di Plan Bleu il 15% dei decessi tra le popolazioni nel Mediterraneo è attribuibile a fattori ambientali prevenibili, a partire dalla riduzione dell’inquinamento. A questo si aggiunge che il bacino del Mediterraneo è una delle destinazioni turistiche più ambite al mondo (360 milioni di arrivi prima della pandemia) e con alcune delle rotte marittime più trafficate al mondo. Questo fa sì che, oltre alla popolazione, si aggiungono tonnellate di rifiuti di plastica dei turisti. Proprio mentre la regione mediterranea si sta riscaldando più velocemente rispetto al resto del mondo: almeno del 20% in più della media globale. Con il PIL sulla sponda europea in media tre volte superiore a quello dei Paesi del Mediterraneo meridionale e orientale, la regione del Mare Nostrum, che ospita oltre 512 milioni di persone, non è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità dell’agenda ONU al 2030.
Un costo economico insostenibile
L’effetto pericoloso dell’inquinamento da plastica sta causando inoltre gravi impatti sui settori economici del bacino del Mediterraneo, in particolare nei settori del turismo e della pesca.
La perdita stimata a causa dei rifiuti marini è di 61,7 milioni di euro ogni anno, già dovuta alla riduzione della domanda di prodotti ittici a causa della preoccupazione sulla qualità dei prodotti. Le spiagge inoltre si riempiono di rifiuti a ogni mareggiata, richiedendo continua manutenzione e, di fatto, scoraggiando il turismo. Aumentano anche i costi per la collettività: l’amministrazione di Nizza, per esempio, spende circa 2 milioni di euro ogni anno per la pulizia delle spiagge.
Etica Sgr, protagonista nella lotta all’inquinamento da plastica
Anche il sistema finanziario può fare qualcosa per ridurre l’inquinamento da plastica. In Etica Sgr abbiamo deciso di fare la nostra parte promuovendo la blue economy e il progetto “A line in the sand – The New Plastic Economy“. Un accordo globale per eliminare il problema della plastica e salvaguardare la vita negli oceani. Come? Sostenendo il passaggio dalla cosiddetta economia lineare – produco, uso e getto – all’economia circolare, dove ogni prodotto viene prodotto per essere usato, riutilizzato e riciclato, riducendo così al minimo i rifiuti.
Nello specifico le aziende che aderiscono alla campagna si impegnano a eliminare gli imballaggi in plastica problematici o non strettamente necessari attraverso l’innovazione, la riprogettazione e lo studio di nuovi modelli di consegna. Si impegnano inoltre ad applicare modelli di riutilizzo, laddove possibile, per eliminare la necessità di imballaggi monouso. Tra i firmatari dell’accordo, ricordiamo, ci sono numerose aziende multinazionali che producono il 20% di tutti gli imballaggi di plastica prodotti nel mondo.
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