Nell’intricato scenario economico che stiamo vivendo da diverso tempo, le banche centrali globali, seppur delineando talvolta percorsi divergenti nelle proprie politiche monetarie, stanno manifestando la predisposizione a mantenere tassi elevati per un periodo prolungato, fino al raggiungimento dell’obiettivo di inflazione del 2%. In questo contesto, gli istituti centrali sono chiamati a una navigazione attenta, gestendo il delicato equilibrio tra la lotta all’inflazione e la preservazione della solidità dei sistemi economici.
Inflazione al 2%: perché è cruciale?
L’inflazione è uno degli indicatori economici chiave per capire lo stato di salute di un’economia e uno dei temi al centro dell’attenzione di governi, banche centrali, investitori, aziende e consumatori.
L’orientamento dominante tra le banche centrali è di conseguire e mantenere un tasso d’inflazione attorno al 2%. Mentre per la BCE il contenimento dei prezzi al 2% rappresenta il fulcro della sua missione, la FED bilancia questo obiettivo con la necessità di assicurare un’occupazione massima sostenibile. Tale livello dovrebbe consentire ai prezzi di non aumentare troppo velocemente, rendendo i beni e servizi inaccessibili per coloro che hanno i redditi più bassi.
Ci si potrebbe interrogare sul perché non sia desiderabile un’inflazione pari allo zero. La ragione verte principalmente sul voler evitare la deflazione: una diminuzione dei prezzi, che sebbene potenzialmente attraente, porterebbe a conseguenze negative per l’economia, dissuadendo consumi e investimenti e incrementando il valore reale del debito.
La tattica della restrizione monetaria
Fino a quando l’inflazione non si approssimerà stabilmente al target del 2%, è prevedibile che le banche centrali mantengano un atteggiamento favorevole verso una politica monetaria restrittiva.
In un contesto di tassi d’interesse elevati, come l’attuale, si nota una propensione al risparmio da parte delle famiglie e una diminuzione degli investimenti da parte delle aziende, data la maggior onerosità dei finanziamenti. Questo, teoricamente, dovrebbe ammorbidire la domanda, refrigerare l’economia e, quindi, attenuare l’inflazione.
Tuttavia, la presenza di specifici fattori può compromettere la piena efficacia di una politica monetaria restrittiva.
In particolare, questo può accadere se l’origine dell’inflazione sia da attribuirsi non ad un aumento della domanda quanto piuttosto a un incremento dei costi, specialmente in ambito energetico, come si è verificato in Europa nel 2022.
Il timing della politica monetaria
Gli impatti dei rialzi dei tassi sull’economia non sono immediati e richiedono un periodo variabile per manifestarsi pienamente all’interno del sistema economico. La scienza economica li definisce semplicemente “long and variable”, cioè lunghi e variabili.
Ad esempio, negli USA, l’effetto della restrizione monetaria sembra tardare ad impattare un’economia che, contrariamente alle previsioni iniziali, persiste nella sua crescita.
L’inflazione rimane un fantasma persistente anche in Europa, nonostante un’andatura più ristagnante dell’economia.
Navigare tra inflazione headline, core e aspettative future
Quando si parla di inflazione, è importante fare un distinguo tra inflazione “headline”, cioè complessiva, che comprende cioè tutte le componenti dei beni, e inflazione “core”, che esclude invece le componenti più volatili, come i generi alimentari e i costi dell’energia. È proprio la persistenza dell’inflazione core a preoccupare maggiormente le banche centrali e a orientarle verso decisioni di politica monetaria più restrittive.
Nonostante il focus sull’inflazione core, non si possono senz’altro ignorare le fasi di incremento dei prezzi dell’energia che potrebbero innescare un rialzo nelle aspettative di inflazione futura. Le aspettative di inflazione hanno un’importanza fondamentale sul trend inflattivo, in quanto gli operatori economici adattano i loro comportamenti a queste aspettative.
Alle dinamiche economiche si aggiunge quindi un’ulteriore complessità data dalla dimensione ‘umana’ dei mercati.
In effetti, le aspettative, le reazioni, l’emotività degli investitori rappresentano un ulteriore elemento da sommare all’incertezza degli effetti economici delle politiche monetarie sui mercati.
In che modo l’inflazione incide sugli investimenti
L’inflazione rappresenta una delle ragioni fondamentali che spinge gli investitori a investire: detenere liquidità riduce il potere d’acquisto futuro a causa dell’impatto dell’aumento dei prezzi.
Se l’inflazione persiste a livelli elevati per periodi prolungati, questo impatto è maggiormente evidente.
Occorre considerare che in scenari di elevata inflazione, non tutti i settori sono impattati in egual modo: i settori legati direttamente ai consumatori, come beni di consumo discrezionali e auto, possono risentirne negativamente, mentre i segmenti value del mercato (come i settori dei materiali o le utilities) potrebbero in parte trarne beneficio.
Per questo, in contesti inflazionistici, può rivelarsi una strategia efficace investire con un orizzonte temporale di medio-lungo periodo e impostare una solida pianificazione finanziaria mirata alla costruzione di un portafoglio diversificato, che tenga conto della propria tolleranza al rischio, dell’orizzonte temporale di riferimento e dei propri obiettivi.
Dal punto di vista della diversificazione, i fondi comuni di investimento rappresentano lo strumento principe, permettendo di variare le allocazioni per asset class, Paese, valuta e settore.
La selezione e l’analisi ESG (ambientale, sociale e di governance) degli emittenti è un ulteriore importante valore aggiunto nella costruzione di un portafoglio da questo punto di vista. Etica Sgr da oltre 20 anni propone esclusivamente fondi comuni di investimento sostenibili che approcciano trasversalmente temi e settori, con un focus ESG che parte dalla selezione dei titoli fino al calcolo dell’impatto.
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