Le disuguaglianze per reddito e ricchezza aumentano nel mondo: una tendenza registrata negli ultimi decenni che riporta l’umanità su posizioni vicine a quelle di un secolo fa. L’indice della concentrazione della ricchezza – calcolato grazie all’indice Gini – consente di fotografare un quadro articolato, in cui l’Europa conferma tuttavia una superiore capacità redistributiva. Ma gli effetti della pandemia e il recente conflitto in Ucraina rischiano di peggiorare la situazione in tempi brevi.
Disuguaglianze, un problema globale
«Divario o disparità riportabile a ragioni quantitative e/o qualitative»: nella sua asetticità la definizione riportata dai vocabolari coglie l’essenza del problema della parola disuguaglianza. O meglio delle disuguaglianze, perché non esiste solo quella economica, ma ci sono anche quelle sociali (che coinvolgono le sfere dei diritti) e delle opportunità, per citarne un paio. Di solito sono connesse tra loro.
Quel che è certo è che il Terzo millennio ha visto crescere le disparità a livello globale. Basti pensare che le disuguaglianze globali odierne si avvicinano a quelle registrate all’inizio del XX secolo: è aumentato il divario tra ricchi e poveri, con il 10% delle persone che possiede il 76% di tutta la ricchezza globale. Inoltre la disparità è aumentata soprattutto all’interno dei singoli Paesi, piuttosto che tra i diversi Paesi.
Come evidenzia il rapporto Oxfam 2022 “La Pandemia della disuguaglianza” nel periodo quasi trentennale intercorso tra il 1995 e il 2021 l’1% più ricco, in termini patrimoniali, ha beneficiato del 38% del surplus di ricchezza. Appena il 2,3% del surplus è andato ad appannaggio della metà più povera della popolazione mondiale.
L’obiettivo dell’Agenda 2030
“Ridurre le disuguaglianze” è anche il decimo obiettivo del programma dell’ONU per lo sviluppo sostenibile che, entro il 2030, si impegna a livello internazionale a far crescere il reddito del 40% più povero della popolazione oltre la media nazionale, adottando politiche, fiscali, salariali e di protezione sociale più eque. Il piano di azione prevede un controllo e una regolamentazione dei mercati e delle istituzioni finanziarie globali per limitare (e auspicabilmente annullare) la forbice di reddito e ricchezza tra Paesi e gruppi sociali all’interno di una medesima comunità statuale.
I dati ONU sulla disparità economica e sociale confermano la tendenza globale: oltre il 75% della popolazione mondiale – concentrato soprattutto nei Paesi in via di sviluppo – vive in una società in cui il reddito è distribuito in maniera meno omogenea rispetto agli anni Novanta del XX secolo.
Indice di Gini: ecco come si misurano le disuguaglianze
All’inizio del secolo scorso Corrado Gini, economista, statistico e sociologo italiano, mise a punto un indice matematico per misurare la concentrazione della ricchezza di una popolazione, un dato che ne evidenzia la disparità della distribuzione fra gli individui.
L’indice varia dal valore 0, che indica un’equanime distribuzione della ricchezza, a 1, che rappresenta invece la concentrazione nelle mani di un solo soggetto. Più il valore tende a 0 più bassa è la disuguaglianza, mentre avvicinandosi a 1 le disparità aumentano.
Spesso l’indice viene espresso, per comodità di visualizzazione, in percentuale o con valori tra 0 e 100. La sua definizione matematica si basa sulla curva di Lorenz, ma ciò che è veramente importante è la sua capacità di descrivere, più di altri dati, lo stato di salute economica di un Paese: per esempio, un PIL in crescita è un dato di per sé positivo, ma se a questo corrisponde un alto indice di Gini significa che a goderne i benefici è solo una stretta cerchia di persone.
I numeri delle disuguaglianze
L’indice di Gini rappresenta quindi un prezioso strumento di analisi della situazione economica di una comunità e oggi è più che mai utile nell’individuare i disequilibri redistributivi in termini di ricchezza.
Nel mondo
I dati della Banca Mondiale, pur nella loro frammentarietà, fotografano una realtà piuttosto chiara. O meglio chiaroscura: le diseguaglianze raggiungono valori massimi in Africa, con indici mediamente superiori a 0,50. Il record è del Sudafrica con 0,63. A un livello di disuguaglianza appena inferiore è la grande area dell’America Latina, dove i valori sono compresi tra 0,40 e 0,50 con punte massime in Colombia (0,542) e Belize (0,533).
Gli Stati Uniti d’America vantano un poco edificante 0,415, appena superiore alla Malaysia (0,411) mentre tra 0,35 e 0,40 si trovano realtà molto diverse tra loro come Russia, Nigeria, India, Indonesia, Marocco e Senegal. Nel blocco compreso tra 0,30 e 0,35 troviamo, tra gli altri, Egitto, Thailandia, Bangladesh e Tunisia.
In Europa
Negli ultimi trent’anni il Vecchio Continente ha visto interrompersi la riduzione dei divari di reddito avviata fin dall’inizio del XX secolo. Le disuguaglianze si sono inoltre fortemente concentrate sul piano territoriale: la peggiore performance è della Bulgaria (0,403) seguita dalla Lituania (0,353).
L’area di minore diseguaglianza è invece quella centro-settentrionale, con il record dell’indice europeo più basso in Slovenia (0,246), seguita da Repubblica Ceca e Slovacchia (0,25) e da una pattuglia composta da Belgio, Danimarca, Finlandia, Croazia, Olanda, Ungheria e Croazia, i cui indici sono compresi tra 0,272 e 0,297.
In Italia
Il nostro Paese ha un indice Gini di 0,352 (ultimo dato della Banca mondiale e della Banca d’Italia aggiornato al 2018), che ci pone purtroppo nella parte alta della classifica continentale delle disuguaglianze: peggio di noi fanno solo Bulgaria, Romania, Lituania e Lussemburgo.
Dal 2007 l’indice italiano è in tendenziale salita, essendo passato da un più “egualitario” 0,329 fino al dato ufficiale attuale. Del resto, se nel 1995 in Italia il 10% più ricco della popolazione concentrava nelle sue mani circa il 50% della ricchezza, nel 2016 quella stessa quota di popolazione ne radunava più del 60%.
Va rilevato, però, che i dati ufficiali sono precedenti a importanti eventi di portata mondiale, come la pandemia e la guerra in Ucraina, che hanno sensibilmente peggiorato la situazione. In l’Italia le recenti misure straordinarie del governo in materia di sostegno al reddito hanno contenuto in parte questa tendenza.
Disuguaglianza tra pandemia e guerra
Nei maggiori Paesi europei la percentuale di individui a rischio povertà o esclusione sociale è in crescita: il peggioramento delle disuguaglianze colpisce soprattutto i ceti deboli e una buona parte del ceto medio. Tanto più che gli effetti della crisi economica mondiale verificatasi tra il 2007 e il 2013 sono stati amplificati dalla pandemia di Covid-19, mettendo a dura prova il mercato del lavoro e i sistemi di protezione sociale.
Le disuguaglianze sono aumentate nella maggior parte degli Stati UE e anche la tendenza a livello mondiale non sembra discostarsi. Un rapporto del 2020 redatto da Oxfam prefigura una contrazione dei consumi e dei redditi da lavoro tali da ridurre in povertà tra il 6% e l’8% della popolazione mondiale, cioè circa mezzo miliardo di persone.
Inoltre, la recente crisi provocata dalla guerra in Ucraina, con il conseguente aumento generalizzato dei costi delle materie prime e dell’energia, sta generando una “tempesta perfetta”. L’economia globale, già avviata verso la stagflazione (inflazione e stagnazione economica), rischia di trasformarsi in una recessione a macchia di leopardo, con gli effetti peggiori sull’Europa e sull’Africa, a fronte di una relativa esenzione di Cina e Stati Uniti d’America.
Finanza etica e disuguaglianza
Anche in momenti difficili come questo, la finanza etica può dimostrarsi un potente strumento di contrasto alle disuguaglianze, generando effetti positivi per l’ambiente e la società, ancor di più in momenti di conversione energetica e di importanti allocazioni di risorse da parte degli Stati coinvolti.
Come più volte noi di Etica Sgr abbiamo detto, la crisi generata dal Covid-19 offre l’occasione di ricostruire l’economia in modo più sostenibile e di adottare politiche che promuovono sistemi più equi e inclusivi.
Per esempio possiamo cogliere l’occasione per ricostruire il welfare, puntando a una copertura sanitaria universale e gratuita, si può investire di più nell’istruzione e in altri servizi pubblici che possono ridurre le disuguaglianze. Possiamo promuove il lavoro dignitoso e libero dallo sfruttamento. Si possono promuovere modelli di impresa che distribuiscano il valore in modo più equo tra tutti gli stakeholder e che non siano concentrati sulla mera massimizzazione degli utili per gli azionisti. Ma anche attuando politiche orientate alla giustizia fiscale. E riorientare i modelli di produzione e consumo in modo da porre un freno alla grave crisi climatica.
Come puoi partecipare anche tu? Votando con il portafoglio.