Il 40% dei lavoratori nei Paesi dell’UE è impiegato in settori che verranno impattati dal cambiamento climatico.
Lo mette nero su bianco Eurofound, l’agenzia europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, nel report “Job quality side of climate change” (La qualità del lavoro e il cambiamento climatico). Lo studio, volto a delineare l’impatto del cambiamento climatico sul lavoro nell’UE, evidenza sia l’aumento della vulnerabilità dei lavoratori sia le opportunità che le economie dei Paesi dell’Unione possono cogliere per migliorare gli ambienti di lavoro in termini di sicurezza, salute e competitività.
Impatto del cambiamento climatico sul lavoro nell’UE
Il principale avvertimento che emerge dal report è che nei prossimi anni svolgere il proprio lavoro “sarà più arduo”. L’aumento delle temperature e la maggiore frequenza di eventi meteorologici estremi, infatti, renderà più rischiosa e faticosa ogni mansione che si svolge principalmente all’aperto: dagli operai edili agli agricoltori ma anche operatori ecologici, autisti di autobus, lavoratori del settore turistico e ittico e poi agenti di polizia, vigili del fuoco, soccorritori e operatori sanitari. A subire in maniera diretta l’impatto dell’aumento delle temperature ci sono anche tutti i lavoratori delle attività svolte al chiuso in ambienti caldi come fonderie, industrie di produzione di vetro, ceramica e tessili, settori questi ultimi che rappresentano una fetta rilevante del made in Italy.
Questa maggiore difficoltà, oltre a compromettere la sicurezza sul lavoro, comporterà una minore produttività che, sottolineano gli autori del report, avrà “effetti negativi significativi sull’economia”, soprattutto per quanto riguarda le catene del valore che si basano sul lavoro manuale.
Prima di approfondire i risultati chiave dello studio è necessario un riassunto del quadro generale sottolineando come l’Europa sia, tra tutti i continenti, quello che subisce in maniera più rapida l’aumento delle temperature le quali crescono ad un ritmo addirittura doppio rispetto alla media globale, come evidenziato dalla studio State of the Climate in Europe 2022: le medie quinquennali globali indicano un aumento (rispetto ai livelli preindustriali) di 1,3 gradi, quelle europee di 2,3 gradi.
Il problema dello “stress termico”
Lo stress termico è una delle principali criticità che emerge dell’analisi Eurofound sugli impatti del climate change sul lavoro quotidiano. L’esposizione a ondate di calore è infatti in cima alla classifica dei rischi per i lavoratori. Una ricerca della Confederazione europea dei sindacati mostra come a temperature superiori ai 30 gradi il rischio di incidenti sul lavoro aumenti del 7%, una percentuale che sale fino al 15% quando la colonnina di mercurio segna 38 gradi.
Aumento delle notti tropicali
Ad aggravare ancora più il rischio di incidenti interviene anche un fenomeno che, proprio in questi giorni, si sta verificando in molte città del nostro Paese, ovvero l’aumento delle “notti tropicali” (quando la temperatura non scende sotto i 20 gradi impedendo agli edifici di raffreddarsi) durante le quali è compromesso il sonno e quindi il riposo, con conseguenti effetti negativi sulla successiva giornata lavorativa.
La necessità di una legislazione specifica sulle temperature
Queste evidenze mostrano la necessità di una legislazione specifica sulle temperature massime o minime sul luogo di lavoro, al momento infatti le regole differiscono da Paese a Paese. In Belgio ad esempio il limite massimo per il lavoro fisico leggero è 29 gradi, in Ungheria invece è di 31, uno scarto che è ancora più evidente nei limiti fissati per i lavori pesanti: 18 gradi in Belgio, mentre in Ungheria questo limite è fissato ai 27 gradi, ciò dimostra quanto sia essenziale un maggiore impegno a livello europeo per stabilire standard uniformi.
Cambiamenti settoriali e reinserimento lavorativo
A una ridefinizione degli standard di sicurezza, degli orari lavorativi e alla realizzazione di norme più specifiche sulla gestione delle alte temperature si aggiunge un’altra priorità, quella della gestione dei cambiamenti settoriali e del reinserimento lavorativo: alcuni agricoltori, ad esempio, potrebbero dover passare a colture più resistenti al clima o addirittura cambiare il tipo di attività agricola svolta, un cambiamento che non impatta solo sul singolo agricoltore ma anche su tutta la catena di fornitura. Uno shock che riguarda anche gli operatori turistici che potrebbero dover trasformare le offerte turistiche, concentrandosi su attività meno dipendenti dalle condizioni climatiche.
Formazione permanente per la riqualificazione dei lavoratori
Fino a pochi anni fa gli effetti del cambiamento climatico sul lavoro erano considerati marginali e difficilmente entravano nell’agenda politica. Ora, il rapido aumento delle temperature e il moltiplicarsi degli eventi climatici estremi ha ribaltato la situazione ed è per questo che gli autori del report segnalano l’opportunità di cogliere questa urgenza per migliorare il lavoro, riqualificando le skills di quanti potrebbero perdere il proprio lavoro a causa del cambiamento climatico. Questa criticità è un’opportunità per migliorare le competenze professionali promuovendo una cultura dell’apprendimento permanente.
Buone pratiche individuali e collettive per la lotta al cambiamento climatico
Inoltre gli autori portano l’attenzione su tutte quelle buone pratiche che è necessario moltiplicare per essere parte attiva della lotta al cambiamento climatico e dell’impegno per la protezione dell’ambiente, da quelle individuali (ad. es eliminare la plastica usata in ufficio, limitare allo stretto necessario la stampa di documenti e incoraggiare gli altri a fare lo stesso) a quelle collettive come la riduzione dell’orario di lavoro, e lo sviluppo della settimana di quattro giorni da realizzare “integrandola con cambiamenti culturali nelle organizzazioni aziendali” in una prospettiva di decrescita.
La riduzione dell’orario di lavoro infatti, come dimostrano diversi studi oggetto di un approfondimento del World Economic Forum sul tema, non solo non riduce necessariamente la produttività ma porta a una diminuzione dell’impronta di carbonio dell’attività lavorativa, a un migliore equilibrio tra vita lavorativa e privata e a un significativo miglioramento della salute mentale e fisica dei dipendenti.
La finanza etica per una transizione giusta e sostenibile
Il legame tra lo sfruttamento delle risorse ambientali e le sue conseguenze sul clima, sulla natura e sulla salute umana, con impatti economici e sociali globalmente negativi, è oggi più evidente che mai a causa dell’accelerazione con cui si manifestano i cambiamenti climatici sui territori. In questo scenario, la finanza etica svolge un ruolo cruciale nell’indurre un cambio di paradigma economico e finanziario, favorendo investimenti verso un’economia sempre più sostenibile.
Etica Sgr, in qualità di investitore responsabile, opera per promuovere uno sviluppo equilibrato tra ambiente e sociale, capace di prevenire ingiustizie specifiche e di perseguire obiettivi globali. La direzione intrapresa è quella della “Transizione Giusta” (Just Transition), un approccio sviluppato dal movimento sindacale che prevede una serie di interventi necessari a garantire i diritti sociali e le condizioni di vita dei lavoratori durante la transizione delle economie verso una produzione sostenibile. Per questo motivo, nel 2019 abbiamo aderito alla campagna “Statement of Investor Commitment to Support a Just Transition on Climate Change” (Dichiarazione di impegno degli investitori per una transizione giusta verso un’economia a basso impatto climatico).
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