Finanza comportamentale: che cos’è e a cosa serve?

Il comportamento degli investitori non è sempre guidato da un’attenta analisi di tutte le informazioni. Spesso sono le nostre emozioni e l’ambiente in cui operiamo a indurci a una decisione piuttosto che a un’altra. La finanza comportamentale illumina le falle mentali del nostro agire economico.

Che cos’è la finanza comportamentale? 

Negli investimenti le emozioni hanno un ruolo importante quanto il livello di rischio, l’orizzonte temporale o il guadagno potenziale. Significa quindi che la psicologia è un’ulteriore variabile nella scelta di un prodotto finanziario? In un certo senso sì. Infatti, gli studi nel settore sono ormai sempre più diffusi. La finanza comportamentale è uno di questi.   

Un po’ di storia

Gli economisti classici (Adam Smith, Jeremy Bentham) hanno sempre tenuto in considerazione la variabile psicologica. Una visione che è andata scemando nella prima metà del XX secolo in favore di un approccio scientista e razionalista.

Il concetto di finanza ed economia comportamentale è stato poi ripreso dagli psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky nel 1979 in Prospect theory: Decision Making Under Risk, per spiegare le anomalie nel processo decisionale economico rispetto a un ipotetico percorso razionale. E da allora le ricerche hanno preso piede, tant’è che negli ultimi decenni diversi economisti comportamentisti sono stati premiati con il Nobel.

Finanza comportamentale e psicologia: il legame

Insomma, ci siamo resi conto che l’economia non è una scienza esatta. Il processo decisionale razionale, che prevede un’analisi di tutte le informazioni reperibili sul mercato – andamenti dei prezzi, serie storiche, variabilità dei tassi – deve anche tener conto di anomalie dettate da condizionamenti e percezioni prive di base razionale.

È il caso delle bolle speculative, che non possono essere spiegate solo da turbolenze generate ad arte da grandi gruppi economici. Gli studi psicologici hanno evidenziato infatti come nell’agire economico la paura di perdere denaro sia una molla assai più potente che non la soddisfazione di guadagnarne con un investimento azzeccato.

Non basta però che il condizionamento colpisca solo qualche persona (psicologia individuale): in fondo, un pregiudizio in un senso ne pareggia uno contrario senza provocare significativi effetti sul mercato. Le vere anomalie hanno effetto solo se i contenuti emotivi di un comportamento, il timore di una perdita economica o l’avidità di profitto, contaminano gruppi consistenti di individui (psicologia sociale). Entrano allora in campo concetti come il “comportamento del gregge” e il “pensiero di gruppo”.

finanza comportamentale

Le tre aree di studio della finanza comportamentale

Hersh Shefrin, uno dei pionieri della finanza comportamentale, ha individuato nei primi anni del XXI secolo tre punti principali intorno ai quali ruotano le discussioni su questo tema.

Euristica

Studia la modalità di assunzione di decisioni sulla base di regole empiriche approssimative, non scaturite da analisi strettamente razionali. Vi fanno parte i cosiddetti pregiudizi cognitivi, che spesso privilegiano atteggiamenti basati su esperienze passate, o la razionalità limitata, cioè un’eccessiva semplificazione nel processo decisionale.

Inquadramento

Prende in considerazione il fatto che una decisione può venire influenzata dalla modalità con cui un problema o un’opportunità viene presentata. Spesso infatti tendiamo a vedere solo una parte dell’informazione: un prodotto finanziario che incontra il consenso del 30% degli investitori è efficace, oppure significa che il restante 70% è scontento?

Inefficienze di mercato

Riguardano i processi cognitivi diffusi su grande scala. Cioè tutte quelle anomalie, come la valutazione errata del prezzo, i processi decisionali non razionali o le errate aspettative sul ritorno economico, che possono condizionare un gran numero di investitori.

Il ruolo dei bias cognitivi

Per “bias cognitivi” si intendono le deviazioni dalla norma o dalla razionalità nei processi mentali di giudizio. Identificare i più diffusi in ambito economico può aiutare a migliorare il giudizio su un investimento, riducendo al minimo l’aspetto emotivo. I principali sono:

  • bias di conferma, cioè la tendenza a sovrastimare solo ciò che riteniamo possa confermare la correttezza di una nostra decisione;
  • bias di eccessiva fiducia, nutrire una fiducia spropositata nelle proprie capacità;
  • effetto disposizione, la tendenza a non liquidare un investimento in perdita o a vendere un titolo in crescita;
  • effetto gregge, quando ci fidiamo più del giudizio della maggioranza che del nostro;
  • avversione alle perdite, considerare più rilevante una perdita che un guadagno, inducendo a trascurare le prospettive di lungo termine per concentrarsi su quelle di breve periodo;
  • bias casalingo, cioè la tendenza a nutrire più fiducia nei titoli nazionali che nei titoli stranieri, di fatto limitando significativamente la diversificazione del portafoglio;
  • tendenza all’attività, si manifesta in quegli investitori che contrastano un calo del mercato con un iperattivismo di acquisti, vendite e diversificazioni, agendo però in modo affrettato;
  • effetto dotazione, la tendenza a sovrastimare il valore di un bene solo perché lo possediamo.

A che cosa serve la finanza comportamentale

La finanza comportamentale serve quindi a identificare i limiti e i condizionamenti – palesi e occulti – a cui siamo sottoposti nel nostro agire economico. Identificare i più comuni bias cognitivi può aiutarci a ottimizzare gli investimenti e a non cedere alle pressioni emotive che potrebbero compromettere le nostre valutazioni.

Esempi di anomalie decisionali

La paura e l’avidità sono i due sentimenti che più hanno condizionato i mercati nella recente storia economica. Basti ricordare la crisi del 1929, dove il panico generalizzato a seguito dello scoppio della bolla finanziaria fece precipitare i valori di borsa. Anche recentemente abbiamo assistito a periodiche, piccole variazioni di mercato che si sono trasformate in cadute consistenti dei mercati finanziari, solo perché alimentate dallo stato di panico di numerosi investitori. Oppure, ancora, da acquisti in massa non giustificati da particolari motivazioni, come durante la fase delle bolle speculative dei titoli tecnologici alla fine dello scorso secolo (Crisi del Dot.Com).

Se i mercati sono sottoposti a variabili già di per sé complesse – tassi di interesse, disponibilità di materie prime e guerre – un’analisi dei nostri atteggiamenti può contribuire almeno ad attenuare l’impatto dell’emotività individuale e sociale sui nostri risparmi.

Infine, una buona cultura economico-finanziaria permette di comprendere i meccanismi che muovono i mercati e le motivazioni alla base dell’andamento dei propri investimenti, limitando quindi il fattore “emotività”.


Si prega di leggere le Note legali.

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