L’Economia circolare è un modello di sviluppo economico che presenta potenzialità enormi, coniugando insieme innovazione e sostenibilità. Che cosa significa? Superare il concetto di “Usa e getta”.
Cos’è l’economia circolare?
La differenza tra un’economia circolare e un’economia lineare è tutta qui: usare senza gettare via. Il modello economico odierno è ancora orientata verso il sistema “take, make, use, dispose” (prendi, produci, usa e getta), l’economia circolare ribalta questo concetto, per far sì che una volta terminato il consumo non termini anche il ciclo del prodotto. Nell’economia circolare i rifiuti semplicemente non esistono (o sono davvero pochi) come avviene d’altronde in natura dove “nulla si distrugge e tutto si trasforma”.
Ma quando e dove è nato il dibattito sull’economia circolare? Ebbene proprio in Italia nel 1975 quando il Club di Roma commissionò al Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston uno studio sui limiti dello sviluppo, “Limits to Growth”. Lo scopo dello studio, tradotto in 30 lingue, era presentare uno stile di vita sostenibile che potesse superare le politiche economiche e industriali dell’epoca.
“Limits to Growth”: il primo studio per salvare lo sviluppo economico
Questo importante passo per la consapevolezza mostrava, per la prima volta tramite una simulazione computerizzata, come il continuo aumento della popolazione mondiale andasse a scontrarsi con il limite delle risorse esauribili, ovvero quelle disponibili in natura in numero limitato e non incrementabili. Una volta superata la soglia della disponibilità lo scenario che si presenta è uno solo: la progressiva scomparsa della biodiversità ovvero la varietà di specie animali e vegetali del nostro pianeta. Poiché gli organismi viventi interagiscono in ecosistemi dinamici, la scomparsa di una specie può avere un impatto di vasta portata su tutti gli esseri viventi, noi compresi.
Gli autori dello studio, per scongiurare questo esito e salvare lo sviluppo economico, proposero allora per la prima volta a livello globale, una politica basata sull’uso sostenibile delle risorse: l’economia circolare.
Non esiste un Pianeta B
A distanza di decenni dalla pubblicazione di “Limits to Growth” ancora consumiamo risorse e produciamo rifiuti come se disponessimo di un altro pianeta. Urge un cambiamento del sistema produttivo che salvaguardi le risorse naturali, riduca gli sprechi e reintroduca nel sistema economico tutto ciò che ancora non ha esaurito la propria utilità. Perché non esiste un Pianeta B.
Il piano di azione Ue per l’economia circolare
A marzo 2020 la Commissione europea ha presentato il piano d’azione per una nuova economia basata sui principi del riuso che include proposte sulla progettazione di prodotti più sostenibili, sulla riduzione dei rifiuti e sul dare più potere ai cittadini, come per esempio attraverso il “diritto alla riparazione”. I settori ad alta intensità di risorse come elettronica, tecnologie dell’informazione, plastiche, tessile e costruzioni, godono in questo dispositivo pensato per facilitare lo sviluppo di un’economia climaticamente neutra, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva. Per questo il Parlamento Europeo ha chiesto l’adozione di misure anche contro dei prodotti, prassi paradigmatica del modello economico lineare “usa e getta”.
Un esempio storico di obsolescenza programmata
Il primo progetto mirato a creare uno standard per la durabilità dei prodotti risale al 1925 anno i cui la General Electric incaricò i suoi ingegneri di ridurre la durabilità delle lampadine, il risultato fu la creazione di lampadine più potenti ma decisamente meno resistenti: da 2.500 ore la durata del “bulbo elettrico” venne abbassata a 1.000. Una vera e propria decisione strategica avente l’obiettivo di aumentare le vendite. E gli altri produttori di lampadine? Si allinearono al colosso americano per non perdere l’occasione di vendere più prodotti. Venne così a crearsi un oligopolio dei principali produttori di lampadine a incandescenza il Phoebus cartel nato con lo specifico scopo di collaborare per allineare i mercati europei e Usa al nuovo standard di vita delle lampadine e, in questo modo, venderne di più.
Lo scopo dell’obsolescenza programmata è proprio questo: decidere a tavolino quando deve durare un prodotto. Ma prima di questa iniziativa, storicamente definita come il primo esempio di obsolescenza pianificata, quando durava una lampadina? La risposta si trova nella caserma dei vigili del fuoco di Livermore in California dove l’interruttore accende una luce da ben 121 anni, per la precisione una lampadina a bulbo da 60 watt ora, ma dopo più di un secolo, ridottisi a 4 watt. La ragione di tanta longevità è da ricercarsi nella qualità dei materiali usati per la sua produzione che, addirittura, risale agli anni Novanta dell’Ottocento.
Economia circolare, i punti di forza dell’Italia: prima in UE nel tracciare il cerchio del riuso
L’Italia è uno dei Paesi Ue che percorre con più risultati la strada dei consumi che creano nuove risorse. A renderlo noto è il quarto “Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2022”, realizzato dal Circular Economy Network (CEN) in collaborazione con Enea.
In un contesto globale in cui l’economia circolare rallenta, facendo scendere il tasso di circolarità dai 9,1% all’8,6% del 2020, l’Italia registra un dato positivo: nel 2020 il tasso di utilizzo circolare delle materie prime nel nostro Paese è arrivato al 21,6%, un ottimo risultato. Infatti, è quasi il doppio di quello registrato nell’intera area UE che si posiziona solo al 12,8%. Dunque in un contesto che, come abbiamo visto, è negativo sotto il profilo dell’economia circolare, l’Italia è riuscita a contenere i danni e a migliorare alcuni indicatori di circolarità meglio di altri Paesi.
L’Italia e la Francia sono i Paesi che fanno registrare le migliori performance di circolarità totalizzando 19 punti ciascuno. In seconda posizione, staccata di tre punti, si attesta la Spagna con 16 punti. Decisamente più contenuto è l’indice di performance di circolarità della Polonia e della Germania che ottengono, rispettivamente 12 e 11 punti.
Uno di questi è la produttività delle risorse ovvero il rapporto tra il prodotto interno lordo (PIL) e il consumo di materiale interno che permette di calcolare la nostra capacità di creare valore aggiunto per ciascuna unità di materia prima: ovvero la capacità nel tempo di aumentare la qualità dei prodotti senza aumentare il consumo di materia prima. L’aumento medio europeo è del 17%, quello italiano del 42%.
Questo andamento viene confermato anche dal tasso di utilizzo circolare di materia, in altre parole la percentuale di utilizzo di materiali riciclati che preservano l’uso di materie prime: l’Italia con il 21,6% si posiziona seconda in Europa dietro la Francia che arriva al 22,2%. Roma e Parigi, quindi, fanno meglio di tutta l’Europa, con dieci punti percentuali in più della Germania il cui tasso di utilizzo circolare dei materiali arriva solo al 13,4%.
Nuovi modelli di business crescono: la simbiosi industriale
I risultati del nostro Paese sono stati possibili grazie a nuovi modelli di business volti alla diminuzione degli impatti ambientali queste nuove pratiche definiscono quella che prende il nome di simbiosi industriale. Per capire come funziona, niente è meglio di qualche esempio di alcune buone pratiche di bioeconomia: l’economia basata sull’uso sostenibile di risorse naturali rinnovabili e sulla loro trasformazione in beni e servizi finali o intermedi.
La simbiosi industriale può essere riassunta così: quello che per un’azienda è scarto per un’altra diventa materia prima, un esempio perfetto sono i fondi di caffè trasformati in materiale bio-based grazie alla sinergia tra il Politecnico di Milano e le aziende della filiera che partendo dal caffè di scarto danno vita a oggetti di design. Per scoprire altre buone pratiche di simbiosi industriale basta fare un salto sulla Piattaforma degli Attori per L’economia Circolare (ICESP) il network per lo sviluppo economico sostenibile di Enea l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie.
Etica Sgr per la salvaguardia del Pianeta
L’insieme di queste best practices rappresenta lo strumento principale per attuare la transizione globale verso un’economia circolare, a basse emissioni di carbonio ed efficiente sotto il profilo delle risorse.
La logica dell’investimento responsabile è la stessa dell’acquisto responsabile: responsabilità, partecipazione, giustizia sociale ed economica. Se l’acquisto diretto del consumatore è un atto quotidiano e concreto, la pratica dell’investimento ci appare più immateriale e sfuggente. Affidare i propri risparmi a una società di investimento spesso ci lascia all’oscuro del reale impiego del nostro denaro.
Etica Sgr, che si ispira ai principi della finanza etica, fa dell’investimento in attività economiche che si impegnano per il bene comune la propria ragione d’essere. Gli investitori possono diventare protagonisti di un cambiamento reale premiando chi tutela i diritti e salvaguarda il Pianeta ed evitando settori a rischio sociale e ambientale, come quelli delle fonti fossili o le attività più inquinanti. Perché si può pensare al proprio risparmio e, contemporaneamente, anche al futuro del Pianeta.