I governi dei maggiori Paesi produttori di combustibili fossili prevedono ancora di produrre nel 2030 più del doppio della quantità di combustibili fossili rispetto a quanto sarebbe compatibile con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C.
Una quantità dunque nettamente superiore ai limiti stabiliti dall’accordo di Parigi e del 69% oltre il limite per un riscaldamento di 2°C. Secondo i dati rilasciati dall’Agenzia Onu per l’Ambiente[1], la produzione di petrolio eccede del 29% il massimo consentito per evitare il surriscaldamento del pianeta, mentre quella di gas e carbone supera rispettivamente dell’82% e del 460%.
Nonostante gli incessanti allarmi della comunità scientifica e gli appelli di figure istituzionali di spicco, come il segretario delle Nazioni Unite e comunità scientifica, i 20 Paesi responsabili dell’84% delle emissioni globali di gas serra derivanti dall’estrazione non hanno ridotto gli investimenti in energia fossile.
Il cammino verso la transizione energetica: dalle politiche inadeguate ai finanziamenti necessari
Lo studio ONU analizza la produzione specifica di ognuno di questi 20 Paesi: a guidare l’aumento globale della produzione di combustibili fossili ci sono India, Arabia Saudita e Russia rispettivamente per carbone, petrolio e gas.
India | Tra crescita della domanda energetica e cambiamenti climatici
L’India non è in condizioni di abbandonare il carbone e le principali ragioni sono l’aumento della popolazione e l’impatto del cambiamento climatico. Le ondate di caldo eccezionali che si sono registrate nel Paese hanno comportato un aumento della domanda energetica necessaria a raffreddare gli edifici. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) l’elettricità consumata in India dai condizionatori d’aria è cresciuta del 21% tra il 2019 e il 2022 e entro il 2050 il numero di condizionatori nelle abitazioni indiane potrebbe crescere di nove volte. Significa che tra meno di vent’anni il fabbisogno indiano per i soli condizionatori d’aria supererà il consumo totale di elettricità di tutta l’Africa. Questa domanda di elettricità continuerà ad essere soddisfatta attraverso materiali inquinanti dato che il Paese è in ritardo nell’integrazione di fonti di energia pulita nel proprio mix energetico, ed è per questo che il governo di Narendra Modi intende raddoppiare l’attuale capacità produttiva di carbone entro il 2030.
Arabia Saudita | L’aumento di produzione di petrolio del 47% entro il 2050
L’Arabia Saudita, che dipende per metà del suo Pil dall’estrazione di petrolio e gas, intende aumentarne la produzione non per soddisfare un aumento della domanda, ma per continuare a essere competitiva e primeggiare in un mercato (quello del fossile) in contrazione. La sola Aramco (la compagnia nazionale saudita di idrocarburi) ha in programma un aumento della produzione di petrolio del 47% entro il 2050.
Russia | Conseguenze della guerra e crescita di gas e carbone
Esaminando il caso della Russia, emergono invece gli effetti collaterali della guerra sul fronte climatico. Dopo l’offensiva militare in l’Ucraina il Cremlino ha riadattato la propria strategia energetica e prevede di aumentare le esportazioni: i dati più recenti parlano, entro il 2035, di una crescita della produzione di carbone tra l’11% e il 53% e di gas tra il 6% e il 31%.
Le tre barriere alla transizione verde
Dal report Onu emergono tre diversi ostacoli all’adozione di politiche green.
Le diverse capacità dei Paesi
È il caso dell’India dove l’aumento progressivo del fabbisogno energetico fa i conti con un’infrastruttura di rete ancora non completamente attrezzata per gestire l’integrazione di fonti energetiche rinnovabili come il solare e l’eolico. Oltre l’80% del fabbisogno energetico dell’India è soddisfatto infatti da tre combustibili: carbone, petrolio e biomassa solida. Il carbone ha sostenuto l’espansione della produzione di elettricità e rimane il principale combustibile del settore industriale. Il consumo e le importazioni di petrolio sono cresciuti rapidamente a causa dell’aumento del numero di veicoli. La biomassa, principalmente legna da ardere, costituisce sì una quota in calo del mix energetica ma è ancora ampiamente utilizzata come combustibile per cucinare: per dare un’idea 660 milioni di indiani non sono ancora passati completamente a combustibili o tecnologie per cucinare in modo energeticamente “pulito”.
La riluttanza ad abbandonare la principale fonte di ricchezza
Parliamo dell’Arabia Saudita e di Aramco, la più grande compagnia energetica al mondo, che per non correre il rischio di perdere quote di mercato punta a far sì che il fossile copra ancora buona parte del mix energetico mondiale del futuro e continua a venderlo all’estero. Non solo, l’Arabia Saudita eroga annualmente fiumi di denaro per finanziare la ricerca in tecnologie verdi da applicare alle auto a benzina con l’obiettivo di non farle mai uscire completamente dal mercato. E continuare a vendere petrolio.
Gli effetti degli shock geopolitici
Il confitto in Ucraina ha significato per tutti i Paesi del mondo un aumento della velocità nella corsa all’indipendenza energetica. Ma se da una parte questo ha significato per l’Europa, una modifica al rialzo della quota di rinnovabili nel consumo finale, per altri Paesi (come ad esempio l’India) ha portato invece a un aumento della produzione di carbone per fare fronte all’estrema volatilità dei prezzi e a possibili turbolenze e interruzioni nella catena nell’approvvigionamento energetico. Il caso indiano vale per tutti i Paesi in via di sviluppo e ci mostra come le decisioni legate all’energia e alle turbolenze del mercato possono avere conseguenze a lungo termine anche dopo la fine dello shock dei prezzi.
In un contesto del genere le migliori politiche, come indica il Gruppo Onu per lo sviluppo sostenibile, devono combinare urgenza e strategia nell’ottica della creazione di uno spazio economico specificatamente dedicato alla discussione e all’attuazione dei meccanismi di finanziamento. Un dispositivo che, in pratica, non obblighi i Paesi a dover scegliere tra basse emissioni e sicurezza energetica. Ma questo dispositivo non esiste? Sì ma solo sulla carta, è una grande conquista realizzata grazie alle Conferenze Onu sul clima ma ad oggi è ancora una “scatola vuota” e senza politiche concrete e finanziamenti adeguati i Paesi emergenti non saranno mai “sostenibili”.
Per questo il Production Gap Report 2023 si conclude con un appello che riprende uno dei temi principali della Cop 28: la transizione verso un mondo a emissioni zero può avvenire solo attraverso una risoluzione che veda i Governi con maggiore capacità economica puntare a riduzioni più ambiziose e, contemporaneamente, contribuire a finanziare i processi di transizione nei Paesi con capacità limitate che, come sottolinea, l’Agenzia Internazionale dell’Energia, subiscono di più gli effetti di un cambiamento climatico che non hanno in nessun modo contribuito a creare.
Il ruolo della finanza nella transizione verso un’economia verde
Gli attuali cambiamenti climatici dimostrano, con sempre maggiore evidenza, l’esistenza di un legame tra sfruttamento delle risorse ambientali da parte dell’uomo e le conseguenze che queste azioni hanno sul clima, sulla natura, sugli animali e sulla salute dell’uomo, con impatti negativi di tipo economico e sociale, su scala mondiale. In questo contesto, la finanza ha un ruolo cruciale per consentire un cambio di paradigma e promuovere investimenti volti a favorire i processi di transizione energetica, sostenendo l’espansione di un’economia sempre più green. La scelta di investire i propri risparmi in modo etico permette di massimizzare i benefici e gli impatti positivi sulle persone e sul Pianeta per perseguire questi obiettivi nel lungo periodo.
[1] The Production Gap: Phasing down or phasing up? Top fossil fuel producers plan even more extraction despite climate promises (2023). Stockholm Environment Institute, Climate Analytics, E3G, International Institute for Sustainable Development and United Nations Environment Programme.