Imprese italiane e diritti umani: i risultati del rapporto OIIDU

Come si posizionano le imprese italiane rispetto ai diritti umani? Secondo il rapporto “Imprese e Diritti Umani. Un sistema in movimento verso la Direttiva UE” pubblicato dall’Osservatorio italiano imprese e diritti umani (OIIDU), il tema è ancora poco compreso nella sua complessità.

I principali risultati dello studio “Imprese e Diritti Umani. Un sistema in movimento verso la Direttiva Ue”

La fotografia che restituisce la ricerca è quella di un ecosistema tagliato a metà: per il 50% delle imprese del campione[1] il tema dei diritti umani è considerato un “tema materiale”, ovvero capace di influire sulle performance e la costruzione di valore, un tema del quale si tiene conto quando si prendono delle decisioni e che regola i rapporti con gli stakeholder. All’interno di questo 50% di imprese virtuose il 14% considera i diritti umani tra i temi di maggiore rilevanza.

C’è un altro 50% di imprese che sono in qualche modo indifferenti, tuttavia si comincia a intravedere “qualche segnale” come dichiara Davide Dal Maso, Ceo di Avanzi – Sostenibilità per Azioni, la società indipendente all’interno della quale è nato l’Osservatorio. L’ottimismo nasce dal fatto che l’attenzione per il rispetto dei diritti umani è cresciuta negli ultimi tre anni: nel 2020 le aziende che consideravano i diritti umani come parte integrante del proprio ecosistema produttivo (dai dipendenti a tutta la catena di fornitori) erano il 32% in meno.

Cosa s’intende quando si parla diritti umani sul luogo di lavoro? È utile soffermarsi sul testo alla base della Direttiva europea sulla due diligence aziendale. Questo documento, realizzato dall’Onu, si chiama “Principi Guida per le Imprese e i Diritti Umani” e fornisce le indicazioni per il rispetto dei diritti umani nei luoghi di lavoro. Si basa su tre parole chiave: proteggere, rispettare, rimediare.

  • Proteggere significa agire tempestivamente quando l’attività aziendale pregiudica il godimento dei diritti lungo tutta la catena di fornitura, quindi non solo internamente e in riferimento ai propri dipendenti.
  • Rispettare vuol dire tutelare ogni persona in azienda e valorizzare la sua diversità e unicità: etnica, religiosa, linguistica, di orientamento sessuale e di genere. Non solo, vuol dire anche sensibilizzare i dipendenti all’inclusività.
  • Rimediare significa identificare le falle e le lacune nel sistema e porvi rimedio, e quindi passare da un approccio puramente teorico ad un’azione sul campo che garantisca risultati documentabili.

Tre elementi chiave che permettono di rendersi conto della profondità del campo di azione del rispetto dei diritti umani e di cosa vuol dire renderli “materiali”. Non solo, si può altresì capire perché il 32% delle aziende del campione analizzato dichiari di non aver ancora inserito tutta questa gamma di azioni tra quelle deputate a definire la performance di un’azienda e perché il 18% lo ha sì inserito, ma non tra quelle definite “materiali”. Infatti, spiegano gli autori dello studio “Imprese e Diritti Umani”, citare nei report di sostenibilità il rispetto dei diritti umani tout court, non è abbastanza per dimostrare di seguire i principi guida dell’Onu e di adottare un approccio sistematico alla due diligence, quello a cui mira la Direttiva europea, che permetta di misurare e analizzare la responsabilità aziendale e la protezione dei diritti umani e dell’ambiente, per tutte le aziende in maniera uguale.

[1] Rispetto alla prima edizione il campione d’indagine è stato esteso da 28 a 50 società italiane di cui 40 quotate e 10 non quotate.

 

Il voto negativo in Europa sulla Corporate Sustainability Due Diligence Directive

Diversi Paesi hanno votato no sulla Corporate Sustainability Due Diligence Directive chiedendo alla Commissione Ue maggiori garanzie per le piccole e medie imprese per le quali, la supervisione della filiera produttiva presenta problematiche di natura pratica. La direttiva è stata pensata per introdurre una responsabilità e delle sanzioni per le imprese che violano i diritti dei lavoratori, dell’ambiente e dei diritti umani.

La novità di questo regolamento, introdotto per completare il quadro normativo europeo sulla trasparenza, è che estende la responsabilità delle aziende anche ai fornitori, ovvero alle catene globali di approvvigionamento. La votazione però ha dato esito negativo: tra i 14 Paesi non convinti dal testo Francia, Germania, Svezia, ma anche l’Italia.

Il testimone adesso torna al Paese che attualmente ricopre la presidenza di turno del Consiglio Ue, il Belgio, che riproporrà ai Paesi membri un testo modificato “per venire incontro alle preoccupazioni di Stati e imprese”. La speranza è che i 27 Paesi membri riescano a trovare un accordo entro giugno 2024, ovvero prima dell’inizio delle elezioni europee.

Etica Sgr e l’engagement per una maggiore sostenibilità e trasparenza delle aziende

L’engagement rappresenta per Etica Sgr un elemento imprescindibile del modo di intendere e praticare gli investimenti responsabili. L’obiettivo di questa attività è condurre le imprese verso comportamenti più sostenibili, portandole ad assumere decisioni che prendono in considerazione anche tematiche sociali, ambientali e di buon governo (ESG) nelle proprie politiche aziendali.

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